"Io, figlia di mafioso, | e la mia strada diversa" - Live Sicilia

“Io, figlia di mafioso, | e la mia strada diversa”

Intervista a Roberta Bontate
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5 min di lettura

Roberta Bontate ha due occhi come un ascensore. Li guardi, premi un pulsante immaginario. E sali ai piani alti, in un luogo di dolore misto a dolcezza e umanissima sensibilità. Si può dire questo della figlia di un mafioso – Giovanni – che ha commesso l’inaudito crimine di subire lo sterminio della sua famiglia all’età di undici anni? Forse certi guardiani militanti non vorranno. Forse coloro che entrano con disinvoltura in un patrimonio indisponibile come il rapporto tra un padre e un figlio, chiedendo a quest’ultimo di rinnegare il primo, se ne dorranno. E continueranno a gridare: sputa su tuo padre, era un mafioso! Ma una ex bambina che a undici anni è stata privata dei genitori morti ammazzati non è una vittima? Una persona che si chiama Bontate e ha scelto – fino a prova contraria, secondo l’acclarata presunzione d’innocenza – un cammino diverso merita l’ergastolo di un cognome, se a suo carico non c’è niente, quando ha già “rinnegato”, con le opere, l’esempio di suo padre?

Roberta Bontate sorseggia un caffè a un tavolino di un bar. Chiacchiera. Mesi fa, dopo una puntata di ‘Striscia la Notizia’ è finita sotto l’occhio dei riflettori per una questione di beni confiscati e assegnati ad associazioni che avevano in circolo – secondo la denuncia – “parenti di mafiosi”. Ha presentato una querela. La giustizia seguirà ilo suo corso. Roberta è qui, a bere un caffè per sussurrare un appello: “Basta, lasciatemi in pace. Ho diritto a vivere la mia vita da donna normale, sposa e madre di figli”. Ci siamo arrivati con reciproca pazienza, al tavolino del bar. Lei non desiderava, per discrezione. E’ stato il cronista a insistere.

Vorrei fare una premessa, Roberta.
“Prego”.

Io penso che il figlio di un mafioso sia una vittima. Lo è, se come è capitato a lei, gli massacrano la famiglia. Lo è, se viene coinvolto in schemi malsani e culturalmente deprivati, che gli impediscono di accedere alla normalità.
“Sono d’accordo. Aggiungo: ciascuno di noi dovrebbe avere la libertà di vivere la propria vita seguendo i principi in cui crede senza essere vittima dei condizionamenti derivanti dal pregiudizio”.

A lei come è andata?
“Io ho sofferto. Soffro. Ho la piena consapevolezza degli errori di mio padre. L’ho acquisita col tempo e con un paziente lavoro su me stessa”.

Suo padre chi era per lei?
“Esclusi i colloqui in carcere purtroppo non abbiamo avuto la possibilità di stare insieme per molto tempo. Ha commesso gravissimi reati che condanno fermamente e che non giustificherò mai, ma posso dire che con noi e con mia madre era un uomo dolce. Nutrirò, sempre e comunque, per lui un grande affetto. Della morte di mia madre non riesco a farmene una ragione, mi manca molto e provo per lei un amore immenso”.

Ammazzati in cucina, suo padre e sua madre. Lei aveva undici anni.
“Mi vollero proteggere con una bugia: sono morti per l’esplosione di una bombola di gas”.

Poi, che è successo?
“Ho costruito il mio riscatto, passo dopo passo. Ho incontrato mio marito, con cui abbiamo condiviso la nostra vita nel segno della legalità e nel rispetto del prossimo. Sono venuti tre figli. Sono qui per loro”.

C’è la storia dei beni confiscati e assegnati alla Live Europe, associazione di cui lei è stata socia. Facile il sillogismo: la ricchezza torna in famiglia.
“Non sono più da anni con Live Europe e in precedenza avevo diradato le mie attività. Ho presentato una querela in cui spiego tutto. Perché non mi hanno dato la possibilità di chiarire subito? Perché il mio cognome provoca una condanna implicita? In diverse occasioni ho apprezzato ‘Striscia’. Nel mio caso pur affermando di “aver letto centinaia di documenti” hanno totalmente stravolto la realtà”.

Cosa non le piace, Roberta?
“L’etichetta che questa città ti appiccica addosso”.

Cioè?
“Per me l’etichetta col cartellino: figlia di mafioso. Prima ti chiedono, giustamente, di cambiare, di spezzare il circolo vizioso. Costruisci un’esperienza diversa e ti attaccano senza conoscerti, senza sapere chi sei realmente”.

Dicono: quanti tesori nascosti, quanti soldi insanguinati…
“Nel 1985 la giustizia ha controllato il patrimonio dei miei genitori e ha tolto a mio padre il frutto di tutte le sue attività illecite. Anni dopo per un vizio procedurale lo Stato non riuscì a confiscare anche un libretto di deposito. A me sarebbero toccati sessantotto milioni delle vecchie lire”.

Che fine hanno fatto?
“Nel decreto di dissequestro era scritto che erano frutto di traffico di stupefacenti. Non li ho presi e li ho devoluti in beneficenza”.

Allora?
“Non voglio ombre. Ho sofferto abbastanza. I miei figli camminano a testa alta”.

Cosa pensa di lei la gente?
“Ho sempre il dubbio: sanno di chi sono figlia? Chi mi conosce sa che vivo la mia vita nella semplicità, che insegno ai miei figli i principi del rispetto e della legalità. Dopo il servizio di ‘Striscia’ ho ricevuto attacchi feroci ed arroganti fondati sul pregiudizio e nello stesso tempo manifestazioni di solidarietà da parte di chi ha analizzato i fatti”.

Cosa vuole davvero?
“Vorrei che tutti conoscessero la mia storia. Non ho nulla da nascondere”.

Qual è il suo messaggio?
“Giudicatemi per quella che sono. E lasciatemi vivere in pace”.

Fine della chiacchierata. Magari, un giorno si scoprirà che Roberta Bontate ha messo il veleno nel caffè di Michele Sindona o la bomba in via D’Amelio, per imprescrutabili e misteriosissime vie. E,  in presenza della eventuale prova provata di una qualsivoglia collusione, acerrimo sarà lo sdegno.  Ma, fino a quel momento, crederemo ai suoi occhi.


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