Delle promesse elettorali, si sa, come del senno di poi son piene le fosse. Siamo adulti, per carità, e non ci scandalizziamo certo: in campagna elettorale si dicono tante belle cose, che poi dopo il voto si dimenticano e finiscono a ingrossare il libro dei buoni propositi rimasti tali. Così va il mondo, direte voi. La curiosità, però, sta nel fatto che nella movimentata campagna elettorale palermitana i politici non abbiano nemmeno aspettato il voto per contraddire i propri proclami. Giorno dopo giorno, a destra e sinistra, si è assistito a un continuo smentirsi da soli, una specie di gara a chi era più bravo a fare il contrario di quanto aveva annunciato il giorno prima.
Prendete il Pdl, per esempio. Al suo insediamento, dopo l’investitura a delfino di Silvio, Angelino Alfano aveva annunciato che per il Popolo della libertà cominciava l’era delle primarie. Più primarie per tutti, dalle Alpi a Lampedusa, per concretizzare la svolta partecipativa dell’ex partito azienda oggi grande partito popolare. Evvai.
E allora le primarie si fanno? Cerrrto che sì, assicuravano più o meno ogni settimana i berluscones. Quando? A febbraio. No, magari tra febbraio e marzo. Vabbè, senza fretta, il 18 marzo. O magari dopo Natale, a che ci siamo. È finita a tarallucci e vino, il Pdl ha scelto praticamente dappertutto in Sicilia i suoi candidati senza la rogna dei gazebo, a Palermo non s’è nemmeno scomodato a trovarne uno (“le primarie si fanno per regolare il traffico, ma qui mi pare che traffico non ce n’è”, aveva ironizzato un deputato regionale), accaparrandosi quello di Fini, Casini e Lombardo. Anche a Trapani e Agrigento ancora aspettano i gazebo, e forse, visto com’è andata a finire alla sinistra palermitana, benedicono la silente marcia indietro di Angelino & C.