La grande illusione - Live Sicilia

La grande illusione

La grande illusione della Gesip tradita dalla cattiva politica, dall'ignavia e dalle promesse non mantenute. Le promesse dei politici che aspettano una nuova elezione per gabbare ancora la disperazione della gente.

La vicenda Gesip
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4 min di lettura

C’è una verità scomoda da raccontare: la Gesip – nelle successive evoluzioni del problema, fino alla giornata che ha terremotato ieri Palermo e altre ne seguiranno – è figlia di uno scellerato, plurimo, patto clientelare che scoppia in faccia a tutti, perché non ci sono più risorse. E’ una verità che tanti conoscono e che è complicata da dire. Scriverla significa attirarsi le antipatie di quasi duemila lavoratori incazzati e la perpetua inimicizia dei patroni cittadini che la politica la sanno fare. Ferma restando, la giusta preoccupazione per le famiglie, è necessario illuminare i protagonisti di un accordo mortale sulle spalle di una città esanime. Il primo convitato di pietra da tirare in ballo, sul banco degli imputati, è la politica che ha foraggiato negli anni un carrozzone dispendioso, – formato, come accade ovunque, da persone di varia estrazione morale, perbene e permale, – e tuttavia quasi completamente inutile. I servizi della Gesip non hanno migliorato Palermo. L’hanno resa appena appena indecente. E’ un fatto che ogni palermitano può confermare. Domanda stringente: a che serve qualcosa che serve poco, se nessuno prova a renderla efficiente? La politica non ha affrontato il nodo per tempo. Sapeva perfettamente che prima o poi sarebbe stato tardi. E si è limitata a passare il cerino di mano in mano, confidando in una deflagrazione, inevitabile, rimandata a domani. Così, l’ignavia ha creato un mostro, un’ipoteca sulle speranze di sviluppo e di vivibilità di un popolo. Non si è trattato solo di incompetenza. C’è stato un calcolo scientifico e cinico per ottenere voti in cambio della menzogna di un “per sempre” che non ci sarà mai.

Non ci limitiamo alla riflessione generica. Ci piace chiamare le cose per nome e cognome. I principali responsabili sono i due ultimi sindaci di Palermo, in ordine di vicinanza temporale: Leoluca Orlando e Diego Cammarata. Lasciamo perdere le polemiche sulla nascita della Gesip, sull’uovo e sulla gallina. Ci riferiamo a elementi recenti. Il sindaco Cammarata non ha sradicato il bubbone. Ha lasciato che la piaga si incancrenisse per le stesse supreme ragioni dell’urna di basso cabotaggio che rappresentano il male profondo della Sicilia. Ha ratificato un pessimo andazzo. Non ha avuto coraggio, né in due mandati ha osato mutare la scena, preferendo sterili recriminazioni al posto dell’azione. Leoluca Orlando, in campagna elettorale, ha indossato i panni del garante. Siamo stati sommersi da alluvioni di comunicati ottimisti, e poi da discorsi minacciosi sulla questione urgente di ordine pubblico, sull’emergenza, sulla solidarietà ai lavoratori che non si abbandonano in mezzo alla strada. Tutto plausibile, per carità. Purtroppo – amaramente lo constatiamo – il sindaco di Palermo a oggi non ha trovato una via per rendere concrete la speranze rilanciate con grande fragore mediatico nella sfida per Palazzo delle Aquile. La strategia? Buttare la palla incandescente nella rete del governo nazionale. L’addio del generale Marchetti è una prova a carico.

Orlando non conosceva le esatte dimensioni del dramma e ha esagerato un tantino in propaganda? Oppure dobbiamo pensare che l’attuale momento critico sia l’apice di una strategia a freddo così articolata: prometto ciò che non posso mantenere, mi becco il consenso e al dunque invoco complotti interstellari in cui recitare la duplice parte di vittima e campione degli oppressi? In ogni caso saremmo davanti a due peccati mortali, uno di incompetenza, l’altro di malafede. Una terza ipotesi non è data.

Gli altri attori del patto di macerie sono i lavoratori Gesip. Non il singolo operaio – e ce ne sono – che attende con scrupolo al suo mestiere e che ha il diritto all’orgoglio. Parliamo del nullafacente per contratto sociale che si è gettato una pettorina addosso per incassare un sussidio mascherato da stipendio. E’ lui l’assassino dei sogni dei suoi colleghi migliori. Parliamo dell’incivile che mette tutto sottosopra, sentendosi garantito da un alibi para-mafioso: se non mi campi, incendio, spacco e blocco. Distruggo, dunque sono. Siamo nell’incrocio perverso che ha affondato la nostra terra irredimibile, strangolata dalla cattiva politica, dai satrapi che puntano sull’azzardo di impegni che non potranno rispettare, dai servi della gleba che si aggregano consapevolmente al carro del potere per mangiare le briciole concesse. Il motto dei primi è: le bugie hanno le gambe lunghe, cioè pagheranno i nuovi, non noi. L’aforisma identitario dei secondi è: “Ppi mmia niente c’è?”.

Questa è l’orrenda verità da raccontare, a qualunque prezzo. Questa è l’evidenza in un passaggio cattivo che ci offre solo lacrime e fango, il sangue no perché costa caro. Questa è la riga da tirare per salvare Palermo e la Sicilia, rinnegando gli errori. Avremo il coraggio di ascoltare giudizi impopolari, di soffrire, di rivoltare come un calzino un sistema sociale che non è soltanto più sconcio, perché è ormai insostenibile?
C’è subito l’occasione per dimostrarlo. Le elezioni regionali sono alle porte. Nonostante promesse e buone intenzioni, la politica tornerà a elargire l’illusione delle elemosine e la disperazione travestita da furbizia tenderà la mano per essere gabbata ancora. Sottrarsi al ricatto elettorale di ottobre sarebbe un passo iniziale per testimoniare un sussulto di dignità. Altrimenti non basteranno cassonetti per seppellire ciò che ancora rimane.


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