Andrea Tuttoilmondo è | "Il giornalista siciliano emergente" - Live Sicilia

Andrea Tuttoilmondo è | “Il giornalista siciliano emergente”

Un cronista “all’antica” anche se ha poco più di trent’anni. Si è formato sulle coste brulle di Lampedusa filmando gli sbarchi, facendosi strada nel fango durante l’alluvione di Saponara. Il ragazzo palermitano, che ha mosso i primi passi a Live Sicilia, dedica il premio al suo “primo vero direttore”, Francesco Foresta.

Premio Cutuli
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CATANIA. Il vincitore del premio Cutuli per la sezione “giornalisti siciliani emergenti”.   Andrea non riesce proprio a stare dietro una scrivania, lui vuole vivere la strada e le persone: è un cronista “all’antica” anche se ha poco più di trent’anni. Si è formato sulle coste brulle di Lampedusa filmando gli sbarchi, facendosi strada nel fango durante l’alluvione di Saponara. Dopo anni di gavetta e sacrifici, tra stage e collaborazioni, arriva l’esperienza come corrispondente per l’agenzia Ascanews. Oggi, a distanza di anni, il ragazzo palermitano, che ha mosso i suoi primi passi a Live Sicilia, arriva a Catania per ricevere un importante riconoscimento: il premio Cutuli per la sezione “giornalisti siciliani emergenti”.  Perché Andrea, da un paio d’anni impegnato a seguire assiduamente le sessioni plenarie del parlamento europeo sull’immigrazione, rimane un siciliano che questa terra la sa raccontare. E lo fa a modo suo: “Assaporando la strada ed entrando in empatia con le persone”. Con la passione di sempre e ridendo anche dei momenti scoramento quando pensò per un istante di mollare tutto e improvvisarsi rappresentante con tanto di valigetta. Andrea oggi può sorridere perché sa che ha fatto bene ad ascoltarsi e assecondare la sua vera vocazione anche grazie a “persone speciali” che ha incontrato lungo il suo sentiero. In primis “il suo primo vero direttore”, Francesco Foresta. Un professionista, ma soprattutto un amico al quale oggi Andrea dedica il premio.

Che effetto le fa ricevere un premio così prestigioso?

Sicuramente è il riconoscimento di tanti sacrifici. Accostare il mio nome a quello di Maria Grazie Cutuli, che ho imparato a conoscere negli anni, è un’emozione fortissima. Soprattutto per chi come me fa il lavoro di agenzia quindi è portato a stare sempre un passo indietro rispetto ai giornali non godendo della visibilità di altri contesti, sicuramente essere portato alla ribalta vuol dire che probabilmente qualcosa di buono l’ho fatta.

Che cosa custodisce della lezione di Maria Grazia Cutuli?

Sicuramente lo spirito, il modo con cui si relazionava con le persone. Se vuoi dare un senso al tuo lavoro, devi stabilire empatia con le persone protagoniste di quella vicenda. Quelle persone devono diventare parte di te, questa donna di trentanove anni riusciva a stabilire un contatto particolarmente profondo con le persone e gli sguardi che incrociava, cosa che si riproduceva nel suo lavoro.

Quanto si sente “giornalista di strada” (per utilizzare un’espressione dei Mario Cutuli)?

Al mille per cento perché in un momento come questo in cui un monitor si è sostituito alla realtà, andare in contro tendenza e riassaporare veramente la strada è la chiave di volta, l’elemento in più che ti consente di trovare uno spunto diverso. Io non potrei vivere dentro una redazione. E’ una cosa che ha detto anche Mario Cutuli, il fratello di Maria Grazia: lei stava male se stava ferma. E’ come prendere un uccellino e metterlo in gabbia. Non dovremmo mai perdere la curiosità e l’interesse nei confronti della strada e delle persone che non vanno date in pasto al mondo senza nessun criterio. Serve molta accortezza.

Come si racconta la Sicilia da corrispondente? Quali i temi cruciali da affrontare?

Ho seguito gli sbarchi a Lampedusa negli ultimi cinque anni, questo mi ha formato. Nel 2011 durante l’alluvione a Saponara sono stato uno dei primi ad arrivare lì. Ricordo il fango fino al busto che non consentiva di camminare. Eppure ero lì. Successivamente ho stretto rapporti con il parlamento europeo. Quella tra l’Europa e la Sicilia sembra una distanza incolmabile per chi è costretto a vivere qui. Non è così, imparando a familiare con certe dinamiche ho scoperto che i due contesti sono molto più vicini di quello che si pensa comunemente. Raccontare la Sicilia è difficile. Quando parlo con i miei colleghi a Roma. Mi rendo conto che appariamo come un universo a sé. Dovremmo avere l’umiltà di capire che siamo diversi rispetto al resto d’Italia senza avere la presunzione di crederci un passo avanti rispetto agli altri. Abbiamo tanto da insegnare, penso allo spirito di sacrificio. Nei miei colleghi conterranei scorgo un elemento in più, una scintilla in più. Noi dovremmo riconoscere questa cosa senza farla pesare.

Quanto conta l’ostinazione per un giovane giornalista che vuole farsi strada?

E’ determinante. Bisogna ostinarsi sempre nella convinzione di farcela. Considerando che domani potrebbe squillarti il telefono per un’opportunità che non avevi messo in conto.

Quanto vengono penalizzati i giovani e la qualità dell’informazione dalle ristrettezze economiche in cui i cronisti sono costretti ad operare?

Tanto. Quando hai tra le mani un ragazzo valido sei portato a pensare che ciò che conta sia la quantità e non la quantità di notizie e non lo valorizzi. Si corre il rischio di penalizzare chi vale, che piano piano si disaffeziona alla redazione e ai colleghi e non è più portato a cercare nulla di diverso perché non è stimolato.

Lei ha mai avuto attimi di scoramento?

C’è stato un momento in cui decisi che non ne volevo più saperne perché mi sentivo poco valorizzato. Decisi di prendere una valigetta piena di prodotti di pasticceria improvvisandomi rappresentante. Il primo giorno di lavoro ho avuto un blackout. Mi dissi che non era la mia strada, che dovevo essere me stesso e dare voce alla mia vocazione. Ricontattai Francesco Foresta, con il quale avevo iniziato la mia prima collaborazione, e tornai a lavorare con lui. Francesco mi ha supportato tantissimo. E, infatti, il premio lo dedico a lui, il mio primo vero direttore.

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