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Diario del Festino

Santa Rosalia
di redazione
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Non chiedere niente a questa notte. Perché ti dirà anche quello che non vuoi sapere. Palermo si spalanca alla vista e al giudizio, coagulata in un’unica macchia chiaroscura che dal Cassaro e dalla Stazione scende verso il mare.

I cronisti vorrebbero porre domande, interrogarla, per saperne di più, per conoscere il nome di chi ha assassinato la sua bellezza. Invece, basta appena guardarla, Palermo, in un supremo colpo d’occhio. E avere abbastanza fegato per sopportare il riflesso che tracima fino al cuore, nella notte del Festino di Santa Rosalia. Niente è cambiato, in apparenza. Perfino la strada delle mercanzie, che unisce culto e marketing, sembra la stessa di sempre. Si vendono dolci dalla foggia inconsueta che solo in una notte come questa fanno la loro comparsa sulla terra. Ci sono certe rutilanti fascette che si appiccicano alla fronte, in forma di aureola. La novità merceologica è data dalle scimitarre luccicanti, stile Sandokan su Marte. Da un banchetto, nei pressi della Marina, che vende originalissimi articoli Apache: la freccia che uccise il generale Custer, la poltrona preferita di Toro Seduto. Il resto è un vocio confuso, tra il Cassaro e il mare. I bambini zingari di vicolo del Pallone aspettano il compiersi di questo strano Natale fuori stagione. La magia dell’attesa è uguale. Viviana chiede un euro e osserva il cielo stellato. Vuole i fuochi. Pure le prostitute di via Lincoln, decimate dall’occupazione militare dei vigili, hanno sguardi radi per la cappa di caldo e di azzurro che le sovrasta. Le rumene, i travestiti che si sbottonano la camicetta, mostrando seni prominenti in esposizione su un petto villoso, le siciliane che si mettono all’angolo di via Archirafi, tutte si concedono il lusso di un riverbero luminoso da desiderare. Vogliono i fuochi.
La cronaca è spietata, lontana dai sogni. Le agenzie battono una sorta di bollettino di guerra fin dal pomeriggio. L’Adnkronos recita: «Carica della polizia e dei carabinieri davanti alla cattedrale di Palermo per allontanare il gruppo di manifestanti dei senza casa che intonavano cori contro il sindaco Diego Cammarata e che avevano chiesto di leggere un volantino di protesta. Nei tafferugli non sono mancati i momenti di tensione. Per due dei manifestanti è stato chiesto l’intervento del 118. ”Vergogna -intonano i manifestanti- volevamo solo leggere un volantino e ce lo hanno vietato. È questa la democrazia?”. Intanto i festeggiamenti per santa Rosalia inizieranno in ritardo proprio a causa dei tafferugli che continuano davanti alla cattedrale da dove dovrebbe partire il corteo intorno alle 21,30». Tra i partecipanti al blitz, il consigliere de «L’altra Palermo», Fabrizio Ferrandelli. Raggiunto al telefonino, promette battaglie durature: «Non finisce qui, al momento siamo in questura perchè hanno fermato tre dei nostri». Uno striscione in Cattedrale recita: «Santuzza, liberaci da Cammarata». Lui, il sindaco, non partecipa al corteo, “Per evitare polemiche”. Fila via dalla Cattedrale, sfruttando – riferiscono le cronache – un’uscita secondaria. Il grido: «Viva Palermo e Santa Rosalia» tocca a Pino Caruso, nominato sul campo maestro di casa.
Il popolo, in buona parte, non partecipa alla scaramuccia. Se ne sta quieto, con le braccia poggiate sui carretti dei semenzari che punteggiano il lungomare. Lì, dove c’è il palco montato per il concerto di Nino D’Angelo, strappato alle spire amorevoli di San Gennaro e convenuto per partecipare alla festa di Santa Rosalia, con i simpaticissimi Tinturia. Il popolo divora semenza. Il popolo sbadiglia in questo scenario di contorno, tafferugli compresi. Il popolo vuole i fuochi, l’epicentro del colore. Li attende dal basso della strada.
I signori, invece, li ammireranno dall’alto di questo o di quel palazzo nobiliare. Le terrazze sfolgorano di decolletè da sballo e acconciature all’ultima moda. Il Festino si può gustare da classi diverse, con timbri dissimili sulla carta d’imbarco da passeggero in viaggio sul mantello della Santuzza. All’altezza delle nuvole, i fuochi d’artificio si apprezzano meglio. Dalla bassezza dei babbaluci, hanno un sapore più rude e più sincero. Le voci narranti sono quella antica di Pino Caruso e quella giovane di Claudio Gioè. Quattro attori palermitani tengono alto il vessillo della città: Paride Benassai, Gino Carista, Giacomo Civiletti e Giorgio Li Bassi. La speranza di stanotte è dedicata ai sequestrati di ogni dove. La perdita della libertà è amara come la peste. La luce – secondo copione – la trascina il carro che sbuffa, arranca e arriva immancabilmente a destinazione. Il carro della Santuzza che nella calca in pochi riescono a scrutare. Non importa. Lo spettacolo è altrove. Il carro è uno schermo che rimanda il nocciolo più sincero di un’identità. Palermo è ai suoi piedi per guardare, senza il sospetto di essere guardata e riconosciuta. Somiglia alle prostitute di via Lincoln, agli zingari di vicolo del pallone, ai signori dei cocktail e ai servi della gleba e dei babbaluci. Una coerente schizofrenia di immagini. E non c’è bisogno di parole per scoprirla nella corsa ridente in sedia a rotelle di un vecchio che urla a squarciagola come un bambino e si precipita all’albeggiare dei primi fuochi. Inchiodato alla sua croce. Eppure, incredibilmente, felicissimo.

Pubblicato il 15 Luglio 2008, 10:03
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