Maurice che diventò Moris| Il trampoliere della difesa - Live Sicilia

Maurice che diventò Moris| Il trampoliere della difesa

Il personaggio rosanero
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Moris Carrozzieri sembrerebbe uno sbaglio. A partire proprio dall’inizio. Doveva chiamarsi Maurice – recitano le cronache – eppure il solerte impiegato dell’anagrafe di Giulianuova peccò. Gli si inceppò la penna all’atto della registrazione. E venne fuori Moris che rasenta la più strampalata originalità ed è un bel nome da gatto.

Per ironia della sorte, Carrozzieri tutto è tranne che un felino. Possiede gambe flessuose da trampoliere, lo stacco del bisonte (che di solito non colpisce di testa, però se potesse sarebbe magnifico, anche se bucherebbe troppi palloni) e il coraggio della preda accerchiata nella foresta. Ognuno ha il suo modo di reagire alle avversità e al fuoco dell’attacco nemico. Franco Baresi alzava il braccio per riparare, all’occorrenza, nella superba isola del suo fuorigioco. Gaetano Scirea usciva dall’area ribollente, perfettamente pettinato e in ordine. Moris pare Bud Spencer e Terence Hill insieme, in mezzo a una rissa da osteria. Alla fine ne viene fuori. Prima sono sportellate, ouch, punf e pank da fumetto. Prima – cioè – che le sue altissime estremità lo conducano nella zona più sicura del porto.
Non sempre il meccanismo funziona. Il popolo rosanero ha ancora negli occhi lo strafalcione che è costato il secondo gol del Napoli, per tacere del passo da Belle statuine azzardato in occasione della rete numero uno dei partenopei. La domenica precedente, invece, il Maurizio mancato, aveva riempito le pupille dei tifosi con giocate in serie ai danni del Genoa. Non solo da carrarmato, perfino da ballerino, con una mezza spaccata al volo che aveva fatto fremere lo stadio di amore.
Si sa che il popolo del pallone è volubile. Una settimana sei la star, la reginetta del ballo, il mito. L’altra ti retrocedono, per un errore, al rango di paria che nessuno ha mai trattato, né conosciuto. La schifezza. Il principe che ha percorso la favola al contrario ed è diventato rospo. Moris – questo pare il suo tratto – è destinato a camminare in lungo e in largo tra i due estremi della storia. Mille volte l’aficionado rosanero lo maledirà, per incensarlo subito dopo. Non è capriccio, né schizofrenia. È semplicemente la pelle più genuina di uno che – suo malgrado – sta sempre, felicemente, nel posto sbagliato.
Lo registri all’anagrafe e ti fregano. Lo vuoi a tappare i buchi contro Zalayeta & Co, e lui si butta latitante come il suo compare di cordata Cesare Bovo, che pure può contare su una fisionomia più normale. E, infine, quando non c’è nessuno, quando pensi che il gol avversario sia una questione di attimi, arriva lui col settimo cavalleggeri del suo corpaccione immenso e salva capre e cavoli.
Nella favole di rospi e principi, fa talvolta capolino lo gnomo con una formula magica che nessuno ha mai azzardato. Moris è uno gnomo gigante, un mirabile controsenso statico – con quelle gambe come fa a stare in piedi? -, una consolante alterazione in un mondo che sarebbe troppo piatto, se non ci fossero quelli come lui, l’eccezione fisica e spesso comportamentale alla regola.
Ci vorrebbe sempre un Carrozzieri in squadra per capovolgere la noia delle proporzioni esatte, degli schemi e delle lavagne. Due sarebbero troppi. Uno è indispensabile.


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