Moni Ovadia a Palermo:| “Italia spaventata e cattiva” - Live Sicilia

Moni Ovadia a Palermo:| “Italia spaventata e cattiva”

Teatro Festival
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Sarà Moni Ovadia ad aprire questa sera il Palermo teatro festival con il reading “Parole dall’esilio”. Regista teatrale, musicista e scrittore, Ovadia racconterà dal palco del Metropolitan temi a lui cari da tempo, come  l’ebraismo, la condizione dell’uomo oggi, esule e rifugiato, prendendo spunto da alcuni racconti di Kafka e da altri racconti chassidim propri della sua cultura.

Nelle note di introduzione al suo reading lei ha scritto che l’esilio è un dono, non una punizione. Perché?
“L’uomo è ospite sulla terra. Ciascuno di noi discende da gente che è venuta altrove. Negli ultimi cento anni in Italia sono emigrate oltre trenta milioni di persone e c’è da vergognarsi a vedere adesso come trattiamo e guardiamo gli immigrati che calpestano la ‘nostra’ terra. Un esiliato non guarda chi ha di fronte, a lui non interessa sapere chi è, ma guarda l’essere umano. Questo concetto viene continuamente disatteso dall’ideologia nazionalistica. Al contrario, lo straniero rappresenta il livello più alto di te stesso, mostra la precarietà dell’uomo. L’esilio rende l’uomo libero, universale, perché in esso non esistono quei confini temporanei e burocratici che sono le frontiere e i passaporti che però ci condizionano”.
Come si racconta oggi il tema dell’esilio, in un momento come questo, nel quale ogni immigrato che sbarca è guardato con sospetto?
“Questo accade perché noi guardiamo e giudichiamo gli uomini dalle loro condizioni e non dalla loro essenza. La condizione dell’esilio può essere compresa meglio quando c’è un grande amore che finisce: quell’uomo e quella donna si sentono stranieri ovunque. E’ una condizione dura e dolorosa che però fa maturare i sentimenti. Guai a chi non ha vissuto l’esperienza di essere lasciato, perché sarà presuntuoso e crederà che tutto gli sia dovuto”.
Come può l’Italia maturare i suoi sentimenti verso l’altro?
“L’Italia sta diventando un paese spaventato e incattivito. Basterebbe raccontare ai giovani chi siamo. Siamo stati un popolo di emigranti: ben 30 milioni sono andati in altri paesi e il 60 per cento degli argentini è di origine italiana. Dovremmo far vedere quando i nostri, in viaggio con le loro valigie di cartone, erano calunniati e si diceva che gli italiani erano tutti mafiosi. O quando sui muri di Milano c’era scritto ‘Non si affitta ai meridionali’. Io le ricordo ancora quelle scritte. Gli italiani in un passato non molto lontano erano classificati come razza negroide. Negli anni ‘20  si celebrò un processo nei confronti di un nero che nonostante avesse avuto rapporti consenzienti con una donna bianca, fu accusato di violenza carnale perché la donna era bianca. Il nero si salvò dall’accusa perché disse che la donna non era bianca ma italiana. Oggi questo parallelo del negroide passa da Castelli a Bossi a Borghezio”.
Da Nord a Sud Italia studenti e  insegnanti stanno protestando contro la riforma della scuola. Sono forse l’istruzione e la ricerca i veri esuli di oggi?
“Sono stra-esuli. Questo è uno dei paesi in cui si tagliano 8 miliardi di euro alla scuola. Avrei capito la riforma se si fosse deciso di tagliare i rami secchi per investire nelle scuole di eccellenza. Ma un paese civile si capisce da come tratta i propri giovani e i vecchi. La Caritas  ha pure detto che ci sono 15 milioni di persone, cioè un quarto del paese, a ridosso del cerchio della povertà e poi abbiamo gente che con la finanza canaglia ha gozzovigliato sulla pelle dei piccoli risparmiatori… siamo molto malmessi”.
A proposito di finanza – canaglia, tra gli spettacoli che lei ha scritto c’è Il banchiere errante, un apologo ironico sul denaro. Può spiegare il senso di questo racconto in un momento di crisi economica come questo?
“Avrei dovuto farlo girare adesso! I nostri maestri dell’ebraismo dicono che : ‘il denaro è come il sangue: se circola impetuoso fino ai più estremi capillari del corpo, dà vita e salute, se ristagna dà cancrena e se viene versato dà morte’. Vale lo stesso per il denaro e lo stiamo vedendo in questi giorni”.
Per Eduardo De Filippo ‘teatro significa vivere sul serio quello che gli altri nella vita recitano male’. Per lei invece cos’è il teatro?
“Questa è una splendida definizione! Per me il teatro resta uno degli ultimi luoghi di civiltà dell’essere umano, un santuario laico dove tutti possono entrare e dove l’attore rappresenta l’uomo con i suoi vizi e le sue fragilità”.


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