Al liceo Meli le storie | di chi è fuggito dal tunnel - Live Sicilia

Al liceo Meli le storie | di chi è fuggito dal tunnel

Calogero, Giuseppe e Renato. Tre ragazzi che vivono in una comunità di recupero per tossicodipendenti, a Bagheria, e che ieri mattina – al liceo classico Giovanni Meli di Palermo – si sono trovati a confronto con altri giovanissimi e con il loro passato, con il proprio personale demone. L’affetto soffocante da parte dei genitori, la paura di non essere accettati o le drammatiche vicissitudini della vita. Ognuno di loro ha avuto una propria causa, ognuno di loro ha capito, a un certo punto, che era troppo. I liceali hanno ascoltato in silenzio e con grande attenzione le storie dei ragazzi della comunità “Casa dei giovani”, così come gli interventi di Stefano Sorrentino, dirigente della squadra narcotici della mobile di Palermo, Gino Cirrincione, operatore della Casa dei giovani da 25 anni, e lo psichiatra Alfonso Accursio.

L’occasione di questo confronto è stata data dalla pubblicazione di un’inchiesta firmata Romina Marceca e pubblicata sul mensile “S”, in edicola da sabato. “Generalmente ne parlavo per vantarmi non per indurre la prevenzione – attacca il suo racconto Calogero – non so come sia successo, forse per farsi accettare, forse per sentirmi grande come gli altri, fatto sta che a 12 anni fumo il primo spinello”. E da allora sperimenta una trentina di tipi di droghe, “informandomi sempre di cosa mi stessi facendo”. Ma la sua non è una storia di marginalità sociale, “avevo un rapporto buono con la famiglia, ero pieno di affetto, ne avevo pure troppo, mi sentivo soffocato”. Così ai buoni voti a scuola accostava il suo viaggio nella droga, salendo la scala fino a giungere all’apice dell’eroina a 17 anni. “Mi sentivo un dio – racconta Calogero – indifferente a tutto ciò che provocava dolore e sofferenza”. Poi piano piano la presa di coscienza (“dovevo fare tutto per l’eroina, tutto girava attorno a lei”), il racconto ai genitori e un rapporto con una ragazza che si è trasformato, anch’esso, in un rapporto di dipendenza. Poi ancora il tunnel della coca, “peggio dell’eroina” per Calogero, che alla terza overdose in una settimana, dopo gli inutili trattamenti del Sert, ha deciso di andare in comunità, dove sta da 15 mesi. “La paura di ricaderci mi potrà salvare”, conclude convinto il suo racconto.

La storia di Renato è probabilmente la più drammatica, perché molto ha influito il corso della vita che può essere veramente drammatico. Renato è un immigrato, giunto in Italia per raggiungere la madre, il fratello e il padrino. Sua madre morirà a un anno dal suo arrivo e per lui comincia l’incubo. Il padrino non lo vuole fra i piedi, per questo lo spedisce da uno spietato parente in Sicilia che lo impiega nello spaccio e in altre brutte faccende. “Ho cominciato a drogarmi di tutto, dalla a alla zeta – racconta emozionato Renato – quando hanno saputo che sono andato a chiedere aiuto a un assistente sociale mi hanno buttato fuori di casa. Ho preso la mia valigia e sono andato via. Sono stato tre giorni per strada – continua – poi l’assistente sociale mi ha portato in comunità, dove vivo da 10 mesi e lavoro su me stesso”. Vede le cose cambiare ora Renato, “ho caminciato perché non ho saputo gestire un problema. Ora ci sto provando, ragazzi”.

Giuseppe ha trentadue anni e un grosso buco: “dai 18 ai 32 anni”. Per tutto questo tempo la sua vita è stata alzarsi al mattino, “aprivo il cassetto e mi facevo, altrimenti non potevo guidare, non potevo fare niente. Se non mi facevo stavo a casa, non ero in grado di parlare, di fare nulla”; poi un’iniezione a pranzo, una la sera. E il giorno dopo ancora. “Non mi sentivo un tossico, mi sentivo un malato” anche perché Giuseppe in comunità c’è stato, 8 mesi e si sentiva pronto. Ma finiva per chiudersi sempre in casa e, infine, è ricaduto. “Ora sono dentro da 16 mesi, spero di uscirne e dare un senso alla mia vita”.

Moderato dalla giornalista Romina Marceca, l’incontro ha avuto anche una coda con i ragazzi a interrogare Stefano Sorrentino su cosa si rischia ad essere beccati con uno spinello.


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