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Santa Lucia

Racconto per il sito
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“Questa è stata l’ottava. Le altre sette si sono consumate nei quattro mesi passati. Lo giuro, se succede solo un’altra volta lo uccido.”

Era ritta di fronte all’altare dorato e prometteva a se stessa, ai Santi e a Cristo in croce, di compiere un delitto, il più orribile: l’assassinio. La sua determinazione era così profonda che perfino in chiesa non aveva un ripensamento. Con le mani giunte meditò sul come sarebbe successo, poiché era certa che sarebbero arrivati alla nona occasione di odio.

Immaginò come si sarebbe svolto:come sempre lui l’avrebbe invitata, dapprima dolcemente a seguirlo, poi in maniera sempre più insistente avrebbe forzato i suoi gesti fino a farle male e a costringerla in ginocchio a testa bassa. Dopo di che l’avrebbe tirata su da terra con violenza, prendendole il braccio, trascinandola dal corridoio fino alla stanza del cucito. Quella era stata la sua stanza preferita, quella in cui la sua povera nonna le insegnava a cucire e a ricamare. C’era solo la macchina da cucire e un lettino addossato alla parete di fronte alla finestra che si affacciava sul cortile interno. La casa dei nonni era nel quartiere vecchio della città, in Ortigia, precisamente al primo piano di un vecchio edificio della zona dei pescatori, la Graziella. Dal balconcino sul portone di ingresso, si vedeva lo specchio d’acqua del porto piccolo con i frangiflutti a difesa della esile costa. Quando, prima che la nonna morisse e che il nonno si ammalasse, andava a trovarli, era sempre una festa. Poi un giorno si rese necessario una compagnia per il vecchio nonno e si pensò di affidarlo alle cure di Nino. Era un giovane forte, figlio di una vicina di casa che era molto unita alla nonna Marisa. Aveva da sempre frequentato la casa e ci si fidava di lui.
Matilde ne era stata sempre segretamente innamorata, fino a quando però il sogno di ragazzina si trasformò in un incubo mostruoso.
Accadde la prima volta in estate, Matilde era andata a trovare il nonno Salvatore. Era andata sola, questa volta, con il suo motorino nuovo di zecca. Finalmente poteva fare un bel percorso lungo fino in Ortigia. Lei abitava nella zona nord, in periferia. Arrivò, salutò il nonno e gli raccontò della scuola, del suo nuovo regalo. Era un po’ in apprensione, a dire la verità perché voleva vedere Nino, il quale la volta precedente aveva fatto un commento sull’avvenenza della ragazzina appena sbocciata. Matilde aveva percepito qualcosa che non capiva fino in fondo, ma che sapeva appartenere al mondo degli adulti. Anche quando i suoi compagni di scuola le facevano i complimenti non aveva mai sentito quel brivido strano lungo la schiena, come quella volta con Nino.
D’improvviso si aprì la porta d’ingresso e comparve lui, le rivolse un sorriso rassicurante. Era l’ora di dare al nonno i sedativi, poiché di pomeriggio aumentavano i dolori, così almeno poteva riposare per un po’. Quelle ore furono di buio anche per Matilde, poiché diventò un rituale orrendo, quello delle diciotto.
Il dilemma più grande che dovette affrontare Matilde, non fu solo quello di subire una violenza sessuale, ma quello di credere di essere stata lei la responsabile di tale nefandezza. Poiché lei nella sua pudica e ingenua voglia di essere adulta e desiderata, aveva assecondato le stoltezze di un uomo senza scrupoli, adesso non poteva confessare a nessuno quanto era successo. E non poté nemmeno le volte successive, si sentiva in trappola, non poteva gridare la verità e non poteva nemmeno rifiutarsi di andare a trovare il nonno, si sarebbero insospettiti i suoi genitori. Ogni volta sperava che non sarebbe successo. Così fino a quel dicembre.
Decise dunque che nel momento in cui lui sarebbe stato meno vigile e attento avrebbe inflitto il colpo letale. Doveva riuscire a prendere le forbici della nonna, quelle grandi, e lo avrebbe infilzato sul fianco sinistro. Poteva farcela, le forbici stavano sul mobile della Singer, alla sua sinistra. Ogni volta lui le teneva entrambe le mani dietro la schiena, con la mano destra, però dopo un’apparente arrendevolezza della vittima, avrebbe potuto lasciarle andare e a quel punto, fingendo di accettare quella violazione tremenda, lo avrebbe reso meno sospettoso e più vulnerabile, ma doveva colpire con tutta la forza e la rabbia che aveva dentro, altrimenti sarebbe stato solo peggio.
La preghiera alla Cattedrale fu la definitiva sconfitta della sua innocenza.
Passarono altre due settimane. Matilde le passò a letto con una febbre apparentemente senza causa. Pensava e ripensava ogni movimento che avrebbe fatto lei e il suo aguzzino. E finiva sempre col sorridere vedendo la fine delle sue sofferenze. Probabilmente era la febbre alta a condurla in quei pensieri senza uscita, non pensò nemmeno una volta alle conseguenze del suo gesto o alle giustificazioni che avrebbe dovuto addurre.
Arrivò il giorno della visita al nonno, era stranamente calma. Quel giorno era anche la festa della patrona di Siracusa: Santa Lucia. Il tredici e il venti di dicembre mezza città si ferma perché la processione dei devoti che portano in spalla il simulacro della loro santa protettrice, si snoda lungo le strade gonfie di persone. La statua viene portata dalla Cattedrale, dove resta tutto l’anno, fino alla chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, in cui per una settimana può essere visitata dai fedeli, dopodichè ritorna al suo posto. Le strade sono liscie e scivolose per via della cera che cola dalle candele votive portata dai credenti, e per qualche mese la città stride a ogni passaggio di automobile.
Arrivò che era già buio. Le luci della festa però illuminavano anche i vicoli più nascosti, e l’aria natalizia per un attimo le fece scordare il suo intento omicida. Come ogni volta, salutò il nonno e parlò con lui, ma questa volta qualcosa era diverso, forse il suo tono, forse la sua amarezza crescente e non ancora consapevole. Il nonno se ne accorse, da vecchio militare che era, ma non disse nulla, disse solo che i suoi dolori da qualche tempo erano peggiorati e il suo cuore non poteva più reggere ormai a quelle fatiche.
Tutto si apprestava ad essere come sempre, arrivò Nino e dopo la medicina del nonno si dedicò alla nipote.
Matilde aveva in testa solo le forbici e si ripeteva di affondare forte. Nei giorni precedenti aveva sfogliato il manuale di anatomia di suo padre, voleva essere sicura di prendere un organo vitale, ma avrebbe dovuto colpire più in alto, rispetto alle sue previsioni. Per lei era solo importante colpire e difendere il suo onore. Lui la condusse nella stanza, ma questa volta senza forzarla, era insolitamente condiscendente la ragazza.
Tutto seguì il copione segreto e atrocemente noto di Matilde, come previsto non le bloccò i polsi, ma non per questo fu meno scellerato. Si avvicinava il momento più idoneo per colpire, Matilde aveva già focalizzato le forbici, stava per allungare il braccio quando uno scoppio improvviso la distolse. I fuochi d’artificio, pensò, ma il clangore era stato troppo vicino e prorompente. Il frastuono la stordì per qualche secondo, non si accorse subito di essersi miracolosamente liberata dalla morsa del carnefice sopra di lei. Si girò e vide Nino riverso per terra bocconi, e il nonno dietro di lui con una pistola fumante in mano. All’improvviso tutto fu chiaro ed i fuochi d’artificio cominciarono a illuminare il cielo

di Clara Morreale


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