E' morto l'uomo chiamato giocattolo - Live Sicilia

E’ morto l’uomo chiamato giocattolo

Addio a Giovanni Studer
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E’ morto l’uomo chiamato giocattolo. Giovanni Studer ha chiuso gli occhi in un giorno vero, di vera scorza dura e quotidiana. Ma alle spalle ha avuto giorni leggeri, colorati di sogni e benedizioni di bambini. Studer, la grande vetrina della fantasia aperta sul mondo di un’infanzia comunque lieta, anche se papà non poteva permettersi l’ultimo modello ludico. Era bello (era, cioè, per chi scrive) appiccicare il naso sull’acquario e semplicemente guardare. Entrare e osservare le mille confezioni rutilanti in cui si può impacchettare la felicità. Nella memoria, il giocattolo palermitano si declina soprattutto con due cognomi: Studer e Licata. L’incendio tragico che ha inghiottito il secondo, rendendolo sinonimo di molte altre cose spiacevoli, è stato un brusco risveglio nella sera dell’età adulta, per tanti ex bambini.

Giovanni Studer ha chiuso gli occhi come una bambola stanca di carezze umane. Il capostipite dell’insigne casata fu Carlo, transitato dalla Svizzera precisa alle largheggianti delikatessen isolane. Anno 1929. Giovanni, suo figlio, trasformò i giochi in una cosa seria, il negozio in azienda. Ebbe vista lunga e mano sicura. L’impero colpiva ancora, colpiva sempre, raccontando con i suoi preziosissimi balocchi un mondo in fermento. Molti bambini si sperimentarono in interminabili sfide a Subbuteo, dopo avere spacchettato il dono dall’elegante carta da confezione Studer. Ed erano campionati interi, sminuzzati in interminabili giornate di sabato. Ed erano Ok Corral con il calcio a punta di dita, risse bonarie da adolescenti, vampate di sangue alla testa, circondate e protette dai pomeriggi di sole dei fine settimana estivi. Forse fu una fatica improba andare appresso alla corsa dei giocattoli fino ai giorni nostri, seguendo le evoluzioni zig-zaganti di qualcosa che era materia e passione e oggi è diventato soprattutto prodotto. Ma probabilmente Giovanni Studer se n’è andato nel momento giusto, all’età giusta, ottantasette anni. Almeno, non sarà costretto a vedere la decimazione dei giocattoli in un futuro mondo più cattivo di questo. Non dovrà sopportare la scomparsa dei bambini, rapiti da un pifferaio malefico che ha inventato la tecnologia per uccidere la fantasia. Nessuno avrà cuore di raccontargli, nell’infinito campo di Subbuteo azzurro, la fine dei bambini, della loro impaziente attesa e di tutti i loro sogni.


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