Rino dello Zen, da pianista a spacciatore - Live Sicilia

Rino dello Zen, da pianista a spacciatore

Il piano di Rino era uno solo. Volare via. Per questo, Rino (nome d’arte)  suonava il piano. Toccò prestissimo per la prima volta i tasti di un pianoforte e chi gli stava accanto fece la stessa faccia del tale che scoprì la vocazione per la musica di Wolfgang Amadeus Mozart bambino.
Mozart diceva parolacce, scherzava e suonava. Rino giocava tra i vicoli con un pallone di pezza e suonava. La trama di una carriera da concertista era a portata di dita, però bisogna considerare un particolare non secondario. Rino vive allo Zen. E’ nato laggiù. Quando qualcuno è stato generato allo Zen, estremo sobborgo di Palermo, davanti si troverà sempre una foresta di porte sbarrate. Le chiacchiere vanno discretamente fino alla fatidica domanda: “Scusi, lei di dov’è?”. Se  uno risponde con sincerità: “di via Rocky Marciano”, si accorge subito che il dirimpettaio ha cambiato impercettibilmente espressione, quel tanto che basta per essere fregati. Perché ha collegato la strada al contesto. E si comincia: “In effetti non è come pensavo. Lavoro al momento non ne ho”. Oppure: “Vuole sposare mia figlia? Purtroppo ci siamo impegnati con la curia, per avviarla alla carriera ecclesiastica, speriamo che diventi Papa”. Amore, lavoro o fesserie, sempre arriva un diniego mascherato dai forse se uno è dello Zen. Mozart è stato il più grande musicista di ogni tempo? Bella forza. Era un damerino di Salisburgo. Le sillabe riempiono le guance, Sa-li-sbur-go. E’ una musica. Una sinfonia. E’ un oboe che suona e gonfia il petto. E’ un pianoforte da concerto nella camera privata di Dio. Lo Zen, invece, è il segno bastardo stampato dalla sassata di un Davide straccione sulla fronte di un Golia simpatico. E’ una camera della morte. Entri dentro il nome che spalanca le fauci. Non ne uscirai mai vivo.
Rino voleva partire. Per farlo gli bastava un pianoforte di fortuna. Fuori c’erano vicoli stretti,  la palla di pezza,  i vetri rotti. Ma era sufficiente accarezzare il dorso bianco frastagliato di nero del piano. Dallo sfregamento dei polpastrelli, nasceva un prato grandissimo con fiori che non si sono mai visti da nessuna parte allo Zen. Un prato fresco e verde in mezzo ai vetri.  Rino sembrava protetto dalle note.
La sua storia è ancora incisa a sangue nella memoria di un’assistente sociale che la racconta. “La famiglia fece salti mortali per mandare avanti quel talento e quella passione.  Il ragazzo si esercitava tanto sul pianoforte di una signora che teneva la madre a servizio. Rino sarebbe diventato un musicista con i fiocchi. Nessuno aveva il minimo dubbio”. Forse a Salisburgo.
Il finale si trova stampato sui giornali di qualche anno fa. Il piccolo Mozart dello Zen fu arrestato per spaccio. Era entrato nel giro sbagliato. “Non ho mai capito perché abbia deciso di buttarsi via così ”, mormora l’assistente sociale che lo seguiva. Perché strappare il pentagramma della magia? La risposta in tre lettere. Zen. Adesso Rino è a casa. Non suona più. Agli amici che vanno a trovarlo dice: “Lasciatemi perdere, la mia vita è finita”. Si affaccia da un buco di finestra. Guarda i soliti vicoli, il solito pallone di pezza, i soliti vetri rotti. E’ triste Rino. Il futuro è una musica senza metronomo a battere il tempo giusto. Il passato è un pianoforte scordato e abbandonato in cantina. Il presente appassisce nel ricordo dei fiori che nascevano dalle sue dita. Nessuno, a parte lui, li ha mai visti. Ma ci sono stati.


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