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Non ci sono pasti gratis…

La Nota sui Mercati
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20 min di lettura

ECONOMIA: il pasto gratis
L’ottimismo attuale si basa sulla convinzione che le banche centrali saranno capaci di ritirare la moneta stampata in eccesso, giusto in tempo per evitare lo scoppio dell’inflazione. E’ stupefacente che possa esserci ancora così tanta fiducia nelle banche centrali dopo il recente disastro, non capendosi come sia stato possibile che istituzioni talmente “abili” abbiano portato alla situazione in essere. Ma lasciamo perdere questa considerazione di fondo, e vediamo,  comunque, perchè questa convinzione sia intrinsecamente fallata, indipendentemente dal credere o meno nell’esistenza di una Cupola di “regìa” degli eventi, finalizzata a provocare alti e bassi per guadagnarci sopra.
Ammettiamo quindi per ipotesi che tutti siano in buona fede, e supponiamo che la FED e le sue consorelle possano perfettamente e tempestivamente riassorbire la quantità di moneta in eccesso prima che la velocità di circolazione torni ad aumentare, e dunque prima che parta l’inflazione,  così come recita il mantra di moda per ora. Ebbene, se fosse possibile inondare il sistema di liquidità, eliminando la recessione, e fosse poi anche possibile riassorbirla prima che si sfoci in iperinflazione, allora vorrebbe dire che sulla faccia della Terra è possibile  il “pasto gratis”, ed  è possibile ottenere valore dal nulla: perchè se si considera possibile quanto sopra menzionato, vuol dire che si può creare ricchezza dal niente, solo stampando pezzi di carta, ed imponendo prezzi politici al credito,  senza alcun costo.
Non dovrebbe essere difficile capire che ciò è impossibile. Non ci sono in finanza ed in economia “pasti gratis”. L’imposizione di prezzi politici al pane o al credito ha sempre effetti deleteri, anche se il loro impatto effettivo può rimanere nascosto per anni. Certo, le conseguenze più immediate e più seducenti sono i minori premi per il rischio, le valorizzazioni più alte dei cespiti patrimoniali, e una spinta a consumo-produzione. Ma dove sta il costo di questo nirvana? anche se l’analisi convenzionale resta limitata ai rischi di inflazione e deflazione, il costo nascosto – come peraltro già dimostrato dalle recenti vicende – sta nella  acuta fraglità sistemica economica e finanziaria derivante dalla imposizione di prezzi politici.
Quando la FED portò i tassi all’1% per reagire allo scoppio della Bolla tecnologica, i risultati inzialmente sembrarono positivi: i mercati azionari ed immobiliari salirono, e la crescita economica riprese più forte che mai. All’epoca c’era qualche timore per gli eccessi del mercato immobiliare, ma venne minimizzato e considerato un piccolo prezzo da pagare nella lotta contro la deflazione che anche a quel tempo veniva agitata come il rischio peggiore. Bisognò arrivare alla fine del 2007 per iniziare a vedere qualche presa di coscienza dei veri costi della operazione avviata nel 2002. Tra coloro che fanno opinione, e che non hanno capito nulla fino a quando il disastro non si è evidenziato, va di moda oggi dire che “quello” è stato semplicemente un “errore” di Greenspan che non ritirò la spinta in tempo. Adesso la lezione è stata imparata e “certamente” Bernanke e i suoi colleghi non rifaranno lo stesso errore.
A prescindere dalla credibilità di quest’ultima affermazione, il punto è che una simile analisi non coglie gli aspetti essenziali delle dinamiche sottostanti le bolle.
Quando la bolla ipotecaria iniziò ad avvitarsi su se stessa non c’era assolutamente nessuna possibilità di fermarla, perchè le autorità non avrebbero mai e poi mai rischiato di provocare i disagi sociali e politici rivenienti dallo scoppio della medesima. Adesso è sotto i nostri occhi la nuova incredibile enorme Bolla dei Debiti Pubblici, che non ha precedenti storici per il modo in cui coinvolge banche centrali, ministeri del tesoro, agenzie governative, assicurazioni, pensioni e miriadi di nuovi strumenti di supporto alla crescita tirati fuori dal cilindro da governi ignoranti e in preda al panico. E’ una Bolla ancora più globale e drammatica di tutte quelle finora avute, senz’altro peggiore di quella ipotecaria da poco scoppiata . E sarà impossbile che le banche centrali non ne restino intrappolate, perchè mai e poi mai rischieranno di fare saltare le finanze pubbliche dei governi di mezzo mondo per fermarla.
Ne conseguono pochissime probabilità (per non dire zero) che le banche centrali ritirino la moneta in eccesso e restringano le condizioni finanziarie prima che scoppi l’inflazione, così come vuole la vulgata data in pasto all’opinione pubblica. Anzi la dinamica perversa che è stata avviata – ripeto: senza precedenti storici –  forzerà a comprare sempre più titoli di Stato nello sforzo di mantenere tassi d’interesse artificialmente bassi,  il prezzo “politico” del denaro. E l’inflazione crescente che si manifesterà inevitabilmente, non sarà neanche il maggiore dei costi associati a questa folle politica:  il rischio maggiore continerà a essere l’acuta fragilità sistemica. Obama questa settimana ha dichiarato esplicitamente che se non si fosse intervenuti il sistema finanziario sarebbe collassato decimando l’economia reale, dando a intendere che invece così si è sistemato tutto. Manco per sogno.
Manovrati mediaticamente, come nel periodo 2002-2007, i mercati stanno sottovalutando significativamente il costo e il rischio di un disastro prossimo venturo derivante dalla nuova Bolla dei Debiti Pubblici, che ha dinamiche intrinseche da “finanza Ponzi” (i debiti si ripagano facendo altri debiti) ben più pericolose di quelle della bolla immobiliar-ipotecaria, le cui ceneri stanno ancora fumando. Basti pensare che i mercati stanno cercando di accogliere 2 trilioni di nuove emissioni nel solo 2009 e da parte del solo Tesoro USA. Questo incredibile ammontare di creazione debitoria certamente stabilizza temporaneamente l’economia drogata, e fornisce redditi (dai dati di giovedì si vede come negli USA il reddito individuale sia in aumento dello 0,3% rispetto a 12 mesi prima, ed anche se questo incremento sembra minimo, occorre considerare che senza la massiccia espansione fiscale e monetaria il dato sarebbe stato nell’ordine di “meno” vari punti percentuali, come il PIL). Ma il problema è che a fronte di questo pannicello caldo vi è l’enorme costo del mantenimento in essere di una struttura economica profondamente e malamente squlibrata.
Se invece si lasciasse fare al libero mercato e al  naturale corso dell’aggiustamento economico – uscendo da un modello economico insostenibile, drogato da finanza e consumi in eccesso –  vi sarebbero certamente conseguenze immediate più dolorose, ma almeno servirebbero a qualcosa. E questo spiega perchè nessuno protesta: le parti sociali sono ancora più mìopi dei politici, e vedono l’inflazione governativa come  il minore dei mali, anche perchè si illudono che si possa ritornare a uno stadio sostenibile di crescita, senza problemi. Invece il massimo che si otterrà è solo un pò di ripresa  artificiale. Con la finanza pubblica ormai completamente  dominante il sistema creditizio, è impossibile anche solo immaginare che possa innestarsi un allocazione efficiente delle risorse finanziarie e reali. Piuttosto, come già si vede, vi saranno estensioni dei processi di cattivo prezzamento e di percezione erronea dei rischi.
E’ chiaro però che l’inflazionismo è sempre più seducente che il suo contrario, e trilioni di nuova moneta sono certamente seducenti per le masse ignare che questi extra debiti qualcuno dovrà prima o poi pagarli, e soprattutto ignare che non servono a migliorare la sottostante struttura economica, perchè in realtà servono solo a ritardare e ad evitare i giusti e necessari (anche se dolorosi) processi di aggiustamento, al costo addizionale di esacerbare la vulnerabilità del sistema.
Alla fin fine,  un sistema funziona e può durare nel tempo, solo se si basa su una SANA struttura economica sottostante (come ha dimostrato l’URSS, che alla fine è sparita proprio perchè si basava su una struttura economica MALATA).  Una sana struttura economica si basa su una crescita  moderata del credito e dell’intermediazione del rischio: il contrario esatto del sistema in cui viviamo. Non possono esserci benefici, ma solo costi crescenti, per un sistema come l’attuale basato su una massiccia inflazione creditizia (ora governativa); e, tornando alle dinamiche alla Ponzi, uno dei principali costi di questo inflazionismo è la massiccia espansione del credito improduttivo, vale a dire di debiti fatti senza un corrispondente incremento nella capacità di produrre vera ricchezza economica, perchè in questa situazione infatti il debito può essere ripagato solo facendo altro debito.
La domanda cruciale che andrebbe posta, cui occorrerebbe i tromboni politici che suonano ai vari G7- G20- etc. rispondessero è la seguente: la struttura economica sottostante è in grado di ripagare la montagna di nuovi debiti che i governi di tutto il mondo stanno facendo? non è che – perversamente- sono questi debiti che tengono in piedi una struttura economica vulnerabile e precaria?
Personalmente ho ben pochi dubbi: i pasti gratis non esistono, e la nuova enorme Bolla dei Debiti Pubblici alla fine distruggerà il sistema malato in cui viviamo ogni giorno.

MATERIE PRIME: salgono
L’unica eccezione è data dai preziosi, danneggiati dal venir meno dell’effetto bene rifugio in questa fase di ottimismo: l’oro conclude la settimana  con una perdita del 3% (+0,5% da inizio anno), mentre fa un pò peggio l’argento che però mantiene un buon guadagno da inizio anno (+10%). Continua invece la fase di forza del rame che guadagna il 3,3% arrivando a +50% esatto da inizio anno. Segni di vita anche dagli energetici: il petrolio  sorpassa quota 50 dollari ed è in rialzo del 18% da inizio anno, mentre il Gas Naturale interrompe la fase negativa con +4% ( ma resta sotto del 37% da inizio anno, ed indubbiamente appare quello con il maggior potenziale di recupero). Il petrolio pur essendo salito non riflette ancora un eventuale ripresa economica; gli speculatori sostengono le quotazioni ma gli acquisti si riducono non appena si supera la soglia dei 50, riflettendo piuttosto l’abbondante produzione, per cui una spinta al prezzo potrebbe venire in questa fase solo da un altro taglio produttivo da parte dell’OPEC.
L’indice generale CRB sale del 2,8% , tornando ai livelli di inizi anno.In vista della grande inflazione prossima ventura, sto attenzionando anche le materie prime agricole, tra cui mi interessa la soia visti i continui acquisti cinesi e la domanda in crescita, proprio nel momento in cui l’offerta sta scendendo, con il raccolto argentino in netto calo, e con le scorte americane ai minimi da 5 anni. Se si aggiungono possibili problemi meteorologici che possono danneggiare la prossima stagione di raccolto, il prezzo della soia potrebbe facilmente tornare ai massimi di 1600 ed oltre, adesso che è già stato in grado di superare la resistenza in area mille.
Si conclude con : petrolio a 53,2(giugno) gas naturale a 3,55(giugno) oro a 887(maggio) argento a 12,5(maggio) platino a 1096 (luglio) palladio a 213(giugno) rame a 210(maggio) soia a 1102(maggio).

CAMBI: la FED vorrebbe il -5%
L’indice del dollaro è restato pressocchè fermo (-0,2%) a 84,5 (+ 4% da inizio anno). Con la sola eccezione del neozelandese penalizzato dall’inatteso taglio dei tassi d’interesse(portati al 2,5%) il dollaro ha perso ancora con le valute commodities, ed ha invece guadagnato oltre il 2% con lo yen (oltre che con il peso messicano danneggiato dal virus).
Il verdone ha dovuto testare l’onda avversa innescata dalla prosecuzione del rialzo delle borse, che lo ha portato presso importanti livelli di supporto con euro e con altre valute. I dati macro negativi hanno solo esacerbato la volatilità, a cominciare dalla caduta record del PIL (peggior contrazione dal 1958), ignorato allegramente però dai listini azionari ormai proiettati a celebrare una fantomatica ripresa futura. Il comunicato della Fed è stato un sorprendente non-evento anche se il mancato annuncio circa ulteriori acquisti di titoli di Stato ha danneggiato questi ultimi, con i rendimenti saliti a nuovi massimi, ma per il momento ciò non sta distrurbando la borsa e quindi non sta favorendo il dollaro. Infatti dai verbali della riunione precedente è emerso che il tasso d’interesse ideale nelle condizioni attuali in base alla cosiddetta regola di taylor(basata su disoccupazione ed inflazione)  viene considerato il -5%! Naturalmente non si può scendere sotto lo zero (per fortuna) ma l’idea è che si mantengano in essere stimoli monetari (leggasi: stampa di moneta) per l’equivalente di un tasso del -5%. Ci si aspettava quindi che la FED anunciasse l’espansione dei suoi acquisti e della sua stampa, da qui la delusione per il mantenimento dello status-quo.

OBBLIGAZIONI:  il decennale sfonda quota 3%
Negli USA  i futures sul tasso a tre mesi scadenza dicembre 2009 quotano 1,23% (-10 cts. rispetto a 7 giorni fa), il libor a tre mesi è    al 1,00%(-8 cts.) e ad un anno al 1,86%(-7 cts.); i bills a 3 mesi   allo 0,16%(+4 cts.). I rendimenti dei bonds  a 2 anni  a 0,85%(-9 cts.); a 5 anni al 2%(+7 cts.); il decennale al 3,16% (+20 cts); a 30 anni al 4,08%(+20 cts.). La parte lunga della curva inizia a soffrire, e i venditori si rifugiano sulle scadenze più brevi, tipicamente il 2 anni, per cui si irripidisce nettamente la curva e il differenziale tra 2 e 10 anni  salta a 231 (+29 cts.). Fermi  i tassi sui mutui a tasso fisso trentennali (-2 cts.  al 4,78%)  e quindicennali(-0 cts. al 4,48) e quelli a tasso variabile ad un anno (-5 cts. al 4,77%). In netta contrazione i differenziali sui bonds aziendali, in parallelo con la positività della borsa, ed i rendimenti degli obbligazionari dei paesi emergenti, con i bonds brasiliani  al 6,27%  sul decennale (i messicani  al 6,12%), in calo anche  quello del decennale giapponese (1,4) .
In Europa  i  tassi euribor  scendono ancora:  ad un mese  al 0,95% (-6 cts.) a tre mesi al 1,38%(-3 cts.) ad un anno  al 1,75%(-4 cts.). I rendimenti sui bund tedeschi in ribasso sul 2 anni a 1,33%(-5 cts.) e   sul decennale a 3,17% (-2 cts.) per cui situazione ben diversa dagli USA con  differenziale tra 2 e 10 anni quasi fermo a +184 cts. sempre più inferiore a  quello americano, perchè  il differenziale con i bonds USA si è azzerato (+1 cts.) per il bund sul decennale mentre aumenta quello  sulla scadenza a due anni (+48 cts.)  sempre a favore del bund. Ma, al di là di questa anomalìa sul 2 anni, la struttura ed il livello dei tassi libor e dei rendimenti è pressocchè identica su entrambe le sponde dell’atlantico. Il processo di omologazione al ribasso è completato e si riflette nella sostanziale stabilità del cambio eurodollaro.
Il decennale americano è tornato al 3,2% rendimento che non si vedeva da Novembre(2,05% il 5 anni). Dopo la caduta isterica al 2% di  dicembre(1,2% il 5 anni) e il ribasso al 2,5% forzato dall’annuncio degli acquisti FED(1,5% il 5 anni), la tendenza di fondo è stata a risalire, ed ora si sta dispiegando aiutata dalla borsa positiva (segnatamente dei titoli finanziari), e dalle emissioni record del governo nel contesto del deficit statale anch’esso record. Ai fini della posizione strategica di vendita di titoli di Stato è importante capire quanto del guadagno finora realizzato dipenda dal miglioramento della borsa e quanto dal deterioramento strutturale della finanza pubblica. Non c’è dubbio che attualmente gli investitori stiano dando credito all’idea che il peggio della recessione sia alle spalle e pensino che il -6% del PIL USA nel primo trimestre stimato questa settimana dai contabili, sia destinato a migliorare nel futuro; ed anche i dati cinesi continuano a confortarli nell’idea che la manovra da 5 trilioni di yaun abbia successo. Al contempo i mercati credono alle dichiarazioni positive delle aziende finanziarie, e ad un esito positivo dei test di patrimonializzazione sotto stress cui sono state sottoposte le banche USA. Per cui la borsa è salita in modo significativo dai minimi di inizio marzo in tutto il mondo, e ormai quasi tutti gli indici sono tornati nei pressi di inizio anno.
E’ chiaro quindi che una gran parte del rialzo dei rendimenti sia da imputare allo spostamento di fondi dai titoli di Stato verso investimenti più rischiosi, e solo una minima parte sia anche l’effetto dell’enorme incremento di offerta di titoli derivante dalle nuove emissioni record nonostante gli acquisti della Fed (a loro volta in parte compensati dai minori acquisti asiatici ed Opec). Proprio per questo penso  vi siano spazi signifcativi di ulteriore guadagno in questa posizione dell’asset, tutti ancora da vedere, anche se la prova del nove si avrà nella fase di ricaduta delle quotazioni azionarie. E se finora la correlazione tra borsa e bond è stata di tipo inversa, prevedo che quando scoppierà la Bolla dei Debiti Pubblici, la correlazione si capovolgerà, e sarà proprio il rialzo dei rendimenti(quindi la discesa delle quotazioni dei bonds) a far scendere le borse. Per il momento, una cosa è certa: il governo USA ha bisogno di collocare 3 trilioni  di titoli nel 2009 e ogni settimana marcia al ritmo da 50 miliardi di nuova carta; solo la prossima settimana sono in programma 71 miliardi di titoli a lungo termine, tra cui 22 di decennale, mentre circola la voce di  nuovi titoli addirittura a  50 anni.

BORSE: gli insiders vendono
Sotto il profilo tecnico, non ci sono novità nonostante il ritocco all’insù del massimo del rimbalzo in corso spintosi dopo la FED fino a 889. Il supporto rimane a 850 e poi a 790, con resistenze a 910 e poi a 940 (il max. del 5/1/2009). Mentre il processo di formazione del massimo è probabile duri ancora qualche giorno e venga poi seguito da una correzione robusta, è improbabile che il ciclo ribassista riprenda prima di fine maggio- giugno che è l’epoca della prossima riunione Fed in cui quest’ultima potrebbe mostrare meno determinazione a proseguire con la stampa di moneta, ed è anche l’epoca in cui potrebbero arrivare le delusioni sui risultati relativi al secondo trimestre. Nel frattempo val la pena notare quel che succede dietro la scena. In superficie pare che le cose vadano sempre meglio: è tutto un susseguirsi di annunci aziendali con risultati meno peggiori delle attese. Così lo S&P 500 si trova sopra del 30% nell’ultimo mese e mezzo. Non succedeva dagli anni 30, quando ci fu un rialzo del 54% in sole 4 settimane ad inizio agosto del 1932, seguito da un altro balzo nelle 4 settimane successive del 30%. Dopo il crollo successivo, nell’aprile del 1933 ci fu ancora un rialzo del 34% in 4 settimane seguito da un altro balzo del 19%. Cosa mostrano questi precedenti? che anche nel mezzo della Grande Depressione il mercato azionario fu capace di montare dei super rialzi che servivano ad attirare i creduloni. Senza dubbio furono delle fasi di rialzo interessanti per il trading, ma furono seguite sempre da nuovi minimi non appena le forze economiche e la realtà degli utili aziendali riprendevano la scena nella mente collettiva del mercato.Questa volta sarà diverso perchè è sempre diverso? Se qualcuno pensasse che l’attuale rialzo segna davvero l’inizio di una nuova epoca rialzsta, farebbe bene a guardare cosa stanno facendo gli “insiders”, cioè  i dirigenti  delle società quotate che, per legge, devono dichiarare se comprano o  vendono le loro azioni. Ebbene, stanno vendendo, in base ai dati forniti dal Washington Service. Durante il rialzo intercorso a partire dal 9 marzo, CEO, direttori, e senior officers delle aziende americane hanno venduto in misura 8,3 volte maggiore rispetto a quanto hanno acquistato.Se credessero di essere all’inizio di un boom, loro- che conoscono meglio di tutti la situazione delle proprie società- venderebbero a man bassa? non credo proprio.
Questa settimana non posso esimermi da qualche sintetica considerazione sulla celebratissima operazione Fiat – Chrysler. Nell’italietta provinciale e asservita  naturalmente non si è sentita alcuna voce critica, consenso all’unanimità. Al di là della banale idea che adesso gli americani è possibile si mettano a comprare 500 per risparmiare, a me pare un operazione sospetta che solleva parecchi dubbi, soprattuto sul fonte americano. Infatti gli obbligazionisti di Chrysler si sono sentiti dire dal governo che i loro crediti sono carta straccia, in barba a ogni regola legale . Se Obama cambia arbitrarimente il diritto per favorire i sindacati, le conseguenze a lungo termine possono essere ben gravi, tenendo presente che i creditori non sono solo i famigerati hedge funds, bensì in maggioranza fondi comuni, fondi pensione e molti piccoli risparmiatori.   Tra l’altro Obama spende 12 miliardi per salvare 54 mila posti di lavoro, con un costo quindi di 22 mila dollari procapite; poichè ogni mese negli USA se ne perdono circa 600 mila, perchè questi 54 mila sono privilegiati rispetto a tutti gli altri che ottengono solo una frazione di quella cifra sotto forma di sussidi ai disoccupati?
Infine appare quanto meno sospetta tutta l’esaltazione obamiana della Fiat, visto che la  Chrysler non è riuscita a fare macchine efficienti unendosi con la Daimler-Benz, mentre invece dovrebbe riuscirci adesso unendosi a un azienda iperindebitata, la Fiat, che è stata in bancarotta fino a poco tempo fa, salvata solo dai soldi di Stato, tanto è vero che la General Motors nel 2005 ha preferito pagare una penale di 2 miliardi pur di non essere obbligata a comprarsela; e la Fiat ottiene il 20% senza metterci un dollaro…sento puzza di bruciato, chissà cosa c’è dietro, ed infatti manco si chiude questo accordo che l’ex ragioniere italocanadese Marchionne, divenuto la star mondiale dei manager, va a Berlino per proporsi alla Opel….vedremo…
Si conclude con Dow a 8212 +1,7% ( -6,4% da inizio 2009) SP500 a 877 +1,3%(-2,8%) Nasdaq100 a 1396 +1,7%(+15%)Russell +1,7%(-2,5%) Trasporti +0,4%( -11%) utilities +4,7% (-10%) semiconduttori +1,8% ( +22%) Broker -1,5%( +18%) Banche -7%( -27%).Il rapporto tra put e call fermo a 0,83 e  l’indice della volatilità VIX scende  a 35.
Il Nikkey giapponese  a 8977 +3,1%(+1,3% da inizio 2009),  il Dax a 4769 +1,8%(-0,9%)  il cac francese a 3160, il footsie inglese a 4243156 spmib a 19177 e mibtel a 15191 +2% (+1%). Tra gli emergenti: Brasile +1,1%(+26%) Russia +0,7% (+31,8%) India +0,8%(+18%) Cina +1,2%(+36%).

PREVISIONI:  BCE+ disoccupazione USA
Settimana piena con il famoso dato sugli occupati americani venerdì che garantisce alta volatilità nel finale. Si inzia con un importante informazione relativa alla situazione economica USA. I recenti miglioramenti dell’ISM manifatturiero e altri dati similari hanno fatto pensare ai primi segnali di ripresa; martedì arriva l’ISM dei servizi, che metterà alla prova l’ipotesi di ripresa, perchè il settore dei servizi copre circa i tre quarti dell’economia. La mancanza di conferma di una stabilizzazione dei consumi potrebbe far entrare in crisi le recenti scommesse sull’imminente ripresa , soprattutto se il dato occupazionale di venerdì desse un altra mazzata nella stessa direzione. Quindi è una settimana che potrebbe segnare una svolta e favorire l’attesa correzione delle borse dopo il lungo rimbalzo, trascinando a catena  dollaro, materie prime e titoli di stato. La disoccupazione USA sarà in scena già da mercoledì quando arriverà il dato del settore privato ADP che lo scorso mese si rivelò peggiore di quello ufficiale, ma in linea di massima se contiene delle sorprese non sarà certamente ignorato.Vi saranno anche i dati sui licenziamenti Challenger e sui sussidi ai disoccupati, nonchè la componente occupazionale dell’ISM a contribuire alla formazione delle attese sul dato di venerdì che resta però come al solito suscettibile di forti sorprese.  Al momento si prevedono un ulteriore balzo del tasso di disoccupazione al 9% e una perdita di 600 mila posti di lavoro nel mese di aprile.
L’altro evento della settimana, che sarà cruciale per il destino dell’euro, è la decisione della BCE in materia di tassi e politica monetaria, giovedì. Da ottobre la BCE ha ridotto di 300 cts. il tasso ufficiale portandolo al minimo storico dell’1,25%. Nonostante questi cali aggessivi l’euro ha mantenuto lo status di moneta ad “alti” tassi, perchè restati sempre superiori a quelli nippo- anglosassoni.  Il mercato adesso si preoccupa di capire dove si fermerà il calo dei tassi e con che velocità questi potranno poi risalire , in modo da poter comprare la valuta e avvantaggiarsi dell’apprezzamento nel cambio che di norma segue a maggiori tassi d’interesse. Fino ad ora infatti, l’accento della BCE sempre posto sull’inflazione, l’atteggiamento attendista e la riluttanza ad usare misure non convenzionali (la stampa di moneta), hanno portato a credere che la BCE si sarebbe fermata prima degli altri nel ribasso , e sarebbe stata la prima a muoversi al rialzo per evitare il rischio inflazione non appena la ripresa fosse cominciata. Questa convinzione però è andata scemando negli ultimi tempi, e già le attese sono per un taglio di altri 25 cts., con il tasso ufficiale all’1%; ma  l’evento shock si verificherebbe se la BCE annunziasse l’adozione di misure quantitative, o la loro prossima messa in cantiere, tenendo magari la porta aperta anche ad ulteriori tagli dei tassi. Verrebbe considerato come la completa anglosassonizzazione dell’Europa ed è facile prevedere un ondata di vendite di euro, a parità di altri fattori. Naturalmente gli altri fattori ci sono, a cominciare dalla correlazione con la percezione del rischio: un combinato disposto di caduta delle borse causato dai dati USA, e di BCE inflazionista, manderebbe l’euro probabilmente verso area 1,25. Viceversa il mantenimento della positività sui mercati azionari (che potrebbe essere aiutata da una positiva accoglienza dei risultati del test cui sono state sottoposte le banche americane), unito ad una politica attendista della BCE, che indicherebbe fiducia nella ripresa prossima ventura, potrebbe proiettare l’euro verso 1,40.

http://michelespallino.blogspot.com/


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