Fiction in dialetto?|Così sarebbe Montalbano - Live Sicilia

Fiction in dialetto?|Così sarebbe Montalbano

Il disegno di legge di Calderoli
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Il leghista Zaia, ministro dell’Agricoltura, propone sul piccolo schermo l’ora dei dialoghi in vernacolo. Ieri Calderoli ha rivelato di aver dato a Bossi una prima bozza di un disegno di legge per introdurre lo studio del dialetto nelle scuole. Francesco La Licata, su La Stampa della vigilia di Ferragosto, anticipa tutti e ci fa capire come sarebbe una delle fiction più seguite – il Commissario Montalbano – se venisse trasmessa in siciliano. Provare per credere.

Iddu, ca sulla promozione non ci aviva fatto mai affidamento, non si strammò più di tanto vedendo che dall’elenco dei vicequestori nominati frischi frischi mancava il suo nome. D’altra parte, iddu, Salvo Montalbano, dirigente del commissariato di Vigata, commissario era nato e tale voleva arristare per la vita. Ma ve l’immaginate la faccia di Salvo se qualcuno si fosse arrisicato a chiamarlo signor vicequestore? Così è fatto il Montalbano, nazionale anche se parla prevalentemente il dialetto siciliano. Niente sembra poterlo strammiare, protetto com’è dalla sua naturale corazza di tolleranza.

Eppure Salvo Montalbano non rimase indifferente leggendo sul giornale quella quistione delle fiction tv che, secondo estemporenei esperti della Lega Nord, dovevano recitare ognuna nel dialetto della propria regione. In primis si ‘ntisi pigghiatu dai turchi, poi gli venne da ridere, pensando a comu sarebbe finita con la Sardegna che per lui, ma un sulu pì iddu, era lingua ostrogota. Quel sorrisetto ironico, tuttavia, sfumò mano mano che Salvo scaricava la responsabilità di tanta facile ironia sulla sua naturale incomunicabilità coi cugini isolani.

Ma poi gli si illuminò il faccione furbo, come quando durante un’indagine riusciva ad afferrare il filo della matassa. E, felice, parlò così con se stesso medesimo: «Allura è veru ca nuatri siciliani le cose le capiamo prima di tutti. Picchì, a riguardare la storia mia, mi pare propriamente di essere stato un precursore. Doppu dieci anni e diciotto storie in televisione, il Continente – anche il sacro suolo veneto – mi pare contento di aviri a chi fari con uno sbirro del profondo Sud. Uno sbirro che per giunta è indulgente coi nivuri clandestini e non sente la necessità delle ronde. Persino la mia amata Livia, la ginuvisa, comincia a tradire qualche contagio siculo, mentre io – con tutto rispetto – rimango aggranfato alla mia origine e la mia lingua l’ho pure esportata».

E, serenamente appagato, aprì il libro di poesie che gli veniva in soccorso quando doveva riflettere. Manco a farlo apposta, era Ignazio Buttitta sull’emigrazione siciliana: «Turi Scordu, surfararu / abitanti a Mazzarinu / cu lu Trenu di lu suli / s’avvintura a lu distinu…».

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