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Diario della notte (per forza) bianca

BRANCACCIO VEGLIA, ALTRI DORMONO
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Dice che tanti hanno afferrato la prima coperta disponibile, una razione di biscotti, un chilo di paura, un briciolo di familiare tenerezza. E poi sono scappati, dopo il ruggito del quarto grado della scala Richter che ha reso inquieto e frabile  il cuore di una città. Dice che Brancaccio si è riversata in strada. Lì, dove la prima scossa – ce n’è stata un’altra minore – ha fatto maggiore mostra di sè, il marciapiede è diventato condominio. Tutti lì, qualcuno in pigiama, a guardare chissà perchè le stelle. Ecco, da bravo cronista dovrei spingermi fino a Brancaccio, per senso del dovere. Eppure, arrivato in via dei Nebrodi, mi afferra il rimorso, si attacca al petto e non lo lascia più: come faranno a casa se arriva la “scutuliata massima”, quella che ti lascia appena il tempo di morire insieme.
Sono tante le immagini di questa notte bianca per forza. Sono tutte suggerite dalla paura: la candide rovine del Belice, Berlusconi che piomba in mezzo a macerie e dolore col caschetto della Protezione Civile. Facciamo il G8 a Palermo? Forse il tremito che ci ha svegliato era l’introduzione di uno sconvolgimento totale. Sì, immagini il G8 a Palermo.  Guarda, c’è Obama. Avverti, imbevuto di suggestione, la pietà pelosa e a termine dell’altra gente, di quelli che ti vedono al tg sotto un tendone, mentre la didascalia recita “sfollati”. E, nella disparità di condizione, ti senti vicino a L’Aquila, alle famiglie di laggiù. Hai appena assaggiato un sorso della cicuta che le ha avvelenate.
Eccoli. Sotto un lampione, in via Dei Nebrodi, ci sono tre persone e un cane. Padre con i baffi, madre in vestaglia, figlio di dieci anni apparenti. Solo loro sono scesi sull’asfalto, solo loro, avanguardia di un intero palazzo. Il papà – mi pare che dica di chiamarsi Tony – racconta: “Noi non abbiamo avvertito la scossa. Abbiamo letto su internet e siamo scappati. Ma ora risaliamo. Abbiamo avuto paura. Sa, ci siamo immaginati la situazione dell’Abruzzo”. E’ l’insicurezza socialmente tremenda della terra che trema e scava nel portafoglio e nell’anima e ruba ricchezza, immobili e gioia. Il figlio è nervoso. Muove velocemente i piedi. Il cane è un docile bastardino. Si chiama Cicciuzzo. Ha avvertito il pericolo. E ora ringhia alla luna. La madre guarda le stelle. Una stretta di mano da reduci, risalgono. E io che faccio? Anni fa, nella terribile notte del 2002, proprio qui, i pigiami svolazzavano a decine. E un vecchio parlava del Belice con insistenza, molestando il timore degli altri. E c’era chi scherzava, per accorciare il buio. E qualcuno dava la colpa al Festino. Il carro non era arrivato in tempo: “Malosigno, malosigno”. E io mi ero svegliato alle 3,21, ora del sisma, urlando: “Basta con la musica, cade tutto!”. Avevo appena sognato un party con banda rock dal mio vicino. Gli davo la colpa del rimbalzo ossessivo delle pareti. Musica troppo alta…
No, forse Berlusconi non verrà. Forse l’unico prezzo da pagare sarà quest’altra notte bianca, popolata di incubi da svegli. Magari domani ci vorremo perfino più bene. Il cane Cicciuzzo è tornato a casa. Mi fissa da un terrazzino di gerani. Non ringhia più, non vuole più addentare la paura. Guarda la luna. Scodinzola.

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