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Diego, lo skipper, e i media feroci
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Siamo alla frutta. Come mass media, intendiamoci. Perché se è vero che la verità assoluta è un’utopia, è anche vero che non si può allontanarsene tanto da capovolgerla, invertita, darle un senso inverso a quello reale. Il sindaco, la barca, lo skipper. Commedia montata ad arte per raccontare una vicenda falsamente scabrosa, solo apparentemente squallida di arroganza, di disinteresse per la cosa pubblica.
Fortunatamente, è bastato poco per immettere la storia sul binario giusto. Quella della verità vera. E non quella dei media mediocri attenti solo allo “scruscio”, e non alla sostanza. Fortunatamente, è bastato poco. Appena 17-20 ore per comprendere davvero come sono andati i fatti. Quali colori avesse la vicenda. Per scoprire, in fondo, che sotto le tenebre nere di una storia brutta, c’erano le tinte rosa pastello di una storia rassicurante e bella, rigenerante per un paese sommerso da munnizza e debiti. Una storia d’amore.
Fortunatamente è bastato poco. Appena quelle 17-20 ore, quelle giuste per attendersi la prelica del sindaco, le parole dello skipper (ops…forse è meglio non chiamarlo così, visto che sulle barche lavora solo nelle pause pranzo), le ricostruzione dell’altra parte, insomma, quella offesa dai soliti, ciechi coltelli delle tv e dei giornali. Che non attendono altro. E che, dopo le dovute precisazioni, di certo non chiederanno scusa, anzi.
Eppure, è bastato poco. Per capire che quella “montata” da Striscia, offerta al ludibrio di una nazione intera, alla ferocia dei detrattori di Diego, era, semplicemente, una storia d’amore. Bella e patinata, come i fotoromanzi di tanti anni fa. Azzurra come la Marina di Villa Igiea, cristallina come le acque solcate dalla barchetta da un milione e mezzo di dollari del sindaco. Anzi, dei figli del sindaco. Che ogni tanto invitano papà a fare un giro. Perché dietro quell’imbarcazione c’è una storia d’amore familiare, una barchetta che è di tutti. Che ricorda momenti di raccoglimento, di unità. Un folocare, insomma, nonostante la vicinanza dell’acqua. Un’isola che si distacca dall’Isola, mettendosi alle spalle il tanfo della spazzatura, lasciata sulla terra come un senso di colpa del quale fare a meno.
C’è una storia d’amore dietro la storia montata dalla tv. C’è l’amore di un impiegato per la sua famiglia, anche qui. tirata dentro non certo per giustificare o commuovere. Ma per far comprendere a tutti. Per spiegare davvero, a telecamere spente: “Ho due figli, devo arrotondare”. E l’amore, si sa, smuove anche le montagne. Figuriamoci se non consente un’assunzione per chiamata diretta e due promozioni in 3 anni. L’amore può questo e altro.
L’amore. Già, perché quella di Franco Alioto probabilmente è anche la storia di un impiegato che ama il mare. Amore anche quello. Davanti al mare c’è nato. Ne adorerà il profumo e i colori. Mare galeotto (in senso poetico, meglio precisare di questi tempi) della “love story” Diego-Franco: “Una simpatia a prima vista”, racconta lo skipper. Che tratteggia, in acquerelli, l’incontro: “Con me è sempre gentile, mi sorride spesso”. Mentre Cammarata, da segreto innamorato selvaggiamente “scoperto” da mediocri paparazzi, prende le distanze da chi fu cuoco e marinaio, amico e dipendente. E dimentica tutto, i giri in barca, la passione per il pesce, i pranzetti gustati fino alla frutta. Alla frutta. Dove siamo giunti noi, media mediocri. Capaci di trasformare una “love story” in una bieca vicenda di arroganza, di potere, di strafottenza.


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