La figlia Maddalena: "Vi racconto mio padre" - Live Sicilia

La figlia Maddalena: “Vi racconto mio padre”

L'anniversario della morte di Mauro Rostagno
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8 min di lettura

Maddalena Rostagno è un vento forte che ti afferra, ti scuote e ti costringe a volare su anni tragici e bellissimi di storia italiana, senza voltare la faccia e il cuore. Cominciamo da quelli bellissimi, intrisi di coraggio, attraversati dai passi normali e valorosi di suo padre Mauro. Il santone con la barba che aveva una colpa difficilmente perdonabile in un villaggio di mezze calzette, di spioni, di Gatti e Volpi. Coltivava la sete di verità.
E sarebbe stato comunque dolce immaginarlo adesso, Mauro, con una barba candida e la sua gioia di vivere centuplicata dai sorrisi e dall’amore di chi gli stava intorno. A fare quello che faceva, con la poesia dei suoi gesti semplici.  Non è andata così. Il paese reclama il sangue dei martiri. Non sa che farsene del battito e del respiro di uomini sereni. Abbiamo bisogno di altari, urne e cippi per dimenticare meglio.
E qui si cade nel tragico, nell’omicidio e in quello che venne dopo, nell’assassinio continuato della decenza e della realtà. Giorni e giorni di oscurità, di illazioni, di mezze frasi, di bocche reticenti e occhi obliqui.  Fino alla scoperta di qualcosa che comincia ad assumere la forma della verità. Maddalena aveva quindici anni quando suo padre fu assassinato. Ricorda tutto del giorno che l’ha cambiata, scaraventando lei, un’adolescente, in un incubo di perdita e di sangue. Da allora è stata lenta, crudele, ma splendida ricostruzione. Avrebbe voluto proteggere Mauro, Maddalena.  Restare accanto alla sua barba bianca da vecchio poeta. Ha potuto soltanto portarselo dentro, crescere e vivere da figlia e da madre. Vivere. Anche per lui.
La voce al telefono è decisa come il vento, pur mantenendo leggerezza e armonia. “Puoi mandarmi l’intervista scritta, così posso rispondere”. E’ immediato dare del tu a Maddalena. Come se fosse una vecchia conoscenza. Come se lei fosse il simbolo involontario di una parte della storia italiana: la storia delle vittime che sono riuscite a percorrere una strada luminosa di dignità e giustizia.

Maddalena, solo adesso si fa luce sulla morte di Mauro Rostagno. Mi racconti come hai vissuto questi anni di menzogna?
“Dopo ventun anni (e mezzo come direbbe Chicca) Mauro avrà diritto ad un processo. E al banco degli imputati ci saranno due mafiosi. Questo è un gran traguardo, che fa scivolare via un po’ di palate di merda ricevute. La verità sulla sua morte è cosa che si scoprirà al processo. Una possibilità che dobbiamo all’impegno degli inquirenti –attuali- e ai cittadini, in particolare quelli trapanesi che non lo hanno voluto dimenticare. Quanta verità potremo avere starà anche a noi, che costituendoci parte civile potremo dare spunti, suggerimenti e aiuto alle forze preposte. Ognuno potrà dare il suo contributo. Anche solo orecchie per ascoltare, mani per trascrivere, voce per raccontare, come faceva Mauro per il processo a Mariano Agate. Come ho vissuto io è ardua risposta. Ma ho vissuto, e questo Mauro non lo ha potuto fare”.

Avevi quindici anni quando tuo padre fu ucciso. Che ricordo hai di quel giorno?
“Ricordo tutto. Quel giorno è il mio spartiacque, il prima e il dopo. La mattina ho litigato con Mauro perché non volevo andare a scuola. Non l’ho ascoltato e non ci sono andata. Lui rientrava a Saman (la comunità, la nostra casa) per pranzo ma mangiava da solo con Chicca. Quando stava per salire in macchina per tornare a RTC (radio tele cine) ci siamo incrociati. Ci siamo soffermati e guardati negli occhi, ma nessuno dei due ha detto ciao o scusa. Poi non l’ho più visto, vivo. Quella sera qualcuno ha deciso che doveva morire e qualcun altro gli ha sparato. Chicca lo ha soccorso e accarezzato in macchina. Io no”.

Tua madre, Chicca, ha dimostrato di essere una persona molto forte. Come è stato il vostro rapporto in questi anni?
“Chicca ha incontrato e scelto Mauro quando aveva vent’anni. Hanno vissuto insieme, anzi erano insieme, per diciassette anni. Condividendo tutto. A trentotto anni si è ritrovata senza di lui, con una figlia. E’ una persona molto forte e molto fragile. La sua fragilità non interessa, non fa clamore. Quando è uscita dal carcere, nel’96 con l’accusa di essere favoreggiatrice nell’omicidio del suo uomo, nonché padre di sua figlia, massacrata dai giornali ha detto: ‘se questo arresto può servire ad arrivare alla verità su Mauro va bene anche questo’. La realtà era che tutta la merda su di lei era anche merda su di lui, la negazione del coinvolgimento della mafia e del valore della sua battaglia e denuncia.  Tra me e Chicca c’è amore. E un rapporto di reciproca solidarietà e ci sosteniamo vicendevolmente. Mi ha cresciuta, mi ha trasmesso il suo amore per Mauro e quello che Mauro aveva per me. E, nei momenti più difficili, è stata forte anche per me. Lei è senza dubbio quella che ha sofferto di più per la morte di Mauro. E quella che tutti si sentono in diritto di maltrattare o ignorare, quando va bene. Sono felice che mio figlio abbia lei come nonna”.

Hai sempre saputo la verità?
“Come ti dicevo prima, ho sempre saputo che a Trapani non uccidi qualcuno senza il consenso della mafia. Ho sempre saputo cosa Mauro stava facendo per Trapani e cosa succedeva ad altri. Non ho mai dubitato di mia madre. E non accetto l’equazione tossico = assassino.  Ci sono lati oscuri che ancora bisogna chiarire e oggi, col processo, finalmente è arrivato quel momento”.

Hai mai disperato che la verità potesse venire a galla?
“Per i primi otto anni non mi sono concentrata sulle indagini. Dovevo e volevo occuparmi di me. Nel’96, con l’arresto di Chicca e la negazione ufficiale della mafia coinvolta nell’omicidio di Mauro, mi è stato imposto di affrontare quello che prima o poi avrei dovuto fare. Da allora ci sono stati alti e bassi. Ti posso dire che quando hanno arrestato Virga, anni fa, leggendo i titoli mi dissi ‘Ce l’abbiamo fatta!’. Oggi, alla notizia del processo, non riesco più a dirmi quella frase. Rimane la speranza e la fiducia, senza quelle non vai avanti, ma i segni lasciati da ventun anni di scoop in antitesi non si cancellano”.

Cosa ricordi di tuo padre?
“Tutto quello che mi sono vissuta con lui. E in quindici anni ne abbiamo fatte di cose. Nel ‘dopo’ ho poi spesso incontrato persone che mi hanno regalato altri pezzettini,  come mi ha insegnato a dire ‘Ciao mare’ al mare di Palermo a due anni è un ricordo acquisito, non mio. La voce, lo sguardo, la risata, l’odore, le favole, le musiche, la calligrafia, bellissima! Le meraviglie e i difetti che ciascuno conserva del suo papà, quando te lo tolgono”.

Provi odio nei confronti di coloro che ti hanno portato via la vita con lui?
“In questi ventun anni ho imparato a ridere e piangere di molte cose. Un ragazzo di Trapani, che ho conosciuto la prima volta quando se ne stava nella pancia della sua mamma, mi aggiorna su quello che esce localmente, nel trapanese, che non avrei modo di leggere. Quando mi ha inviato la foto di Mazzara mi ha chiesto scusa. Gli ho risposto quello che dico a te: non mi soffermo su quel volto. Mauro ha perso la cosa più preziosa che aveva, la sua vita. Io ho perso il mio papà. Tutto questo non può essere restituito. E tutto questo vorrei che non succedesse ad altri”.

Dove vivi, cosa fai?
“Ho vissuto per molti anni a Milano. Ora vivo a Torino, la città in cui è nato Mauro. Mio figlio farà le elementari vicino alle sue medie”.

La verità in Italia viene a galla sempre molto dopo, quando fa meno male. E’ un caso, o una scelta?
“Non mi ci ritrovo in questa frase. In Italia siamo quasi abituati e rassegnati, non tutti, a non avere la verità né subito né dopo molti anni. Ogni tanto, dopo molti anni, viene concessa qualche verità. Sul fatto poi che il tempo attutisca il male lasciamo perdere…”.

Ci sono stati depistaggi istituzionali?
“A breve ci sarà un processo. E’ giusto che di eventuali depistaggi istituzionali se ne parli in quella sede. Sicuramente, come lo stesso dottor Ingroia ha detto in diverse occasioni, ci sono state molte dimenticanze… Posso dire che se gli inquirenti avessero dato più peso al resoconto stilato pochi mesi dopo dal delitto da Calogero Germanà, allora dirigente della squadra mobile di Trapani, in antitesi con quello dei carabinieri, si sarebbe potuti arrivare ad un processo molto prima. Ma oggi gli inquirenti addetti al caso sono persone diverse, che hanno portato a questo risultato concreto”.

Qual è l’esempio più luminoso che Mauro ci ha lasciato?
“A me si accendono troppe luci pensando a lui. Ma sono cose nostre. In una video intervista splendida che gli fece Nicola Caracciolo pochi mesi prima di morire, il cameraman ha stretto su un primo piano e lui ha indicato gli altri, di riprendere i ragazzi non lui. Amava la vita, desiderava invecchiare, vedere la propria barba imbiancare sotto il sole siciliano e ‘se Dio vorrà circondato da nipotini’. Ma con la dignità dell’uomo,  la possibilità di guardare una persona negli occhi e dirgli sì o no con la stessa intensità. Cosa non consentita dalla Mafia, per lui era una battaglia per cui ne valeva la pena. In un suo editoriale, Roberto Saviano dice di aver capito che nessuno sceglie il proprio destino. Però può sempre scegliere la maniera in cui starci dentro”..

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