"Le nostre prigioni infami" - Live Sicilia

“Le nostre prigioni infami”

Adriano Sofri per livesicilia
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6 min di lettura

La drammatica situazione delle carceri in Italia è diventata, anche a causa  delle recenti vicende, una realtà sempre più imbarazzante. Torture e suicidi  sono ormai all’ordine del giorno. E le carceri in Sicilia sono spesso sinonimo di orrore.  Ne abbiamo parlato con Adriano Sofri.

Sofri, lo stato delle carceri in Italia è preoccupante, qual è il punto della  situazione?
“Penso che lo stato delle carceri sia un’infamia per la quale non si trovano  più né sostantivi né aggettivi. Tanti anni fa, in una discussione, da carcerato  per giunta, con il capo di allora del dipartimento dell’amministrazione  penitenziaria al ministero, avevo usato, forse per la prima volta, l’espressione secondo cui le carceri sono una discarica sociale. Sono un  immondezzaio dove si buttano i rifiuti di questa società. Dopo di allora,  questa espressione la usano persino i ministri. Uno degli aspetti più significativi, surreali e grotteschi della situazione carceraria italiana è che a descriverla come una vergogna, uno scandalo, come una situazione di illegalità, di incostituzionalità, come ha detto lo stesso  ministro della Giustizia, ormai sono i responsabili di governo, delle  istituzioni, i magistrati”.

Parliamo dell’atteggiamento delle istituzioni preposte verso il tema delle  carceri e delle persone. Pensa ci sia una mancanza di reale interesse verso questo tema?
“E’ difficile dirlo perché le persone sono molto diverse fra di loro, anche nelle istituzioni e perfino fra le persone che hanno responsabilità ufficiali. C’è la disperazione di doversi occupare di problemi che diventano insolubili e li frustrano nella loro stessa esistenza quotidiana, pensando ai detenuti sdraiati in un pavimento senza neanche un materasso. In una delle maggiori carceri italiane i detenuti nuovi entrati li mettono a dormire nelle sale adibite ai colloqui con i familiari; in passato altri li mettevano nelle camere di sicurezza che sono dei locali, dei loculi meglio, che non hanno neanche una finestra o un bagno. Mettevano lì le persone, alle quali assicuravano, se andava bene, dei fogli di giornale dove fare i propri bisogni. E’ difficile inseguire con le parole questo disastro che è oltraggioso per chi ci capita, quindi i detenuti, ma anche per chi ne ha la responsabilità. Un direttore di carcere, un funzionario dell’amministrazione penitenziaria, per non dire un sottosegretario o un ministro, dovrebbe a sua volta sentirsi leso intimamente da una condizione del genere di cui è responsabile. Più grave di ogni cosa è quell’inerzia, una specie di abitudine, una sensazione che la voragine sia così profonda e larga che non si può neanche provare a mettere mano a qualche intervento. Tutti sanno cosa bisognerebbe fare. Tutti sanno che le carceri sono strapiene perché ci sono decine di migliaia di persone che non avrebbero motivo di stare lì. Intanto ci sono le persone in attesa di giudizio. Poi ci sono quelli che entrano ed escono, come si è saputo nelle polemiche di questi giorni: persone che vengono arrestate, subiscono tutte le pratiche che implicano l’ingresso in un carcere, dalla perquisizione, all’abbandono della propria personalità, all’esplorazione anale. Insomma tutta questa iniziazione carceraria che dura ore, che impegna una quantità di persone e spoglia i detenuti della loro dignità, per poi rimetterli fuori nel giro di due, tre giorni. Quindi arrestati e buttati fuori. Questo vuol dire che non c’era alcuna necessità se non quella di seguire questa macchina burocratica. Quindi quello che si dovrebbe fare è da tempo noto, ma vi è la viltà dei responsabili e la demagogia di cui l’opinione pubblica è vittima, ma anche artefice”.

Oggi ci si sta preoccupando più dei “contenitori” che del contenuto, quindi si sta mirando ad aumentare il numero delle carceri invece di cercare pene diverse per individui diversi. Cosa ne pensa?
“Gli stessi responsabili del ministero dichiarano ad alta voce cosa andrebbe fatto, ma poi non lo realizzano. Non c’è mai stato un così avaro ricorso alle cosiddette pene alternative. Intanto la gente non ha voglia di ammettere che le pene alternative sono pene a tutti gli effetti. Io sto parlando ora dalla mia detenzione domiciliare: sono fortunato, ho una bella casa, ma la mia è una pena, sono privato della mia libertà. Figuriamoci i disgraziati che vivono una situazione peggiore della mia. Tutti i discorsi sull’edilizia carceraria e gli investimenti sono completamente destituiti di fondamento. Non ci sono soldi. Persino gli istituti già costruiti non funzionano perché non assumono il personale necessario. Si va avanti varando continuamente nuove leggi che, non solo sono offensive del diritto e della ragione, ma sono palesemente criminose e portano sempre più gente in carcere. Sto parlando delle leggi sull’immigrazione e sulla droga che hanno fatto aumentare la popolazione carceraria in maniera parossistica. I detenuti contemporanei sono una specie di volgo indistinto senza forza contrattuale che, anche per la sua differenziata composizione, non ha la forza di lottare come è avvenuto in passato. Oggi la popolazione carceraria è composta da derelitti che tuttalpiù fanno male a se stessi, non a caso i suicidi e gli autolesionismi si sono moltiplicati”.

Parliamo dell’assistenza e delle cure mediche che dovrebbero essere rivolte ai detenuti.
“Questo dipende molto da una galera all’altra. Le galere sono tutte pessime, ma ce ne sono di peggiori e di migliori. Spesso, anche se non sempre, il personale sanitario è molto per bene, molto dedito, ostile alle persecuzioni in nome della sicurezza”.

Conosce la questione delle carceri in Sicilia?
“La conosco solo indirettamente. Quando stavo in carcere e il mio indirizzo era noto mi scrivevano una quantità enorme di detenuti da ogni luogo. Penso sia una delle peggiori”.

Esiste la tortura in carcere?
“Un presidente di corte di appello di Milano qualche tempo fa, disse che la situazione delle carceri a San Vittore era esposta all’imputazione di tortura. Ma in Italia è così dappertutto, non solo a San Vittore. I tribunali internazionali hanno condannato l’Italia a risarcire un detenuto rom che aveva denunciato di stare in uno spazio invivibile. Cioè uno spazio insufficiente rispetto a quello riconosciuto come minimo indispensabile ad una creatura umana. In quel caso, io avevo paragonato questo spazio a quello delle galline negli allevamenti di polli. Anche i detenuti hanno diritto a non essere torturati, ma nessuno garantisce questo diritto ai giacimenti di corpi umani nelle prigioni”.

Esiste la morte di carcere?
“Il carcere è una sospensione della vita che poi si tramuta in una morte vera”.

Parlando della sua condizione personale: come vive la sua “liberta mediatica” che però si scontra con la realtà di una reclusione reale?
“Certamente sono un detenuto. Non ho mai cercato alcun privilegio: ho conosciuto la realtà delle carceri, mi sarei vergognato di non conoscerla. Nel 1970 sono stato in carcere alle “Nuove” di Torino: segrete spaventose, identiche a come erano nell’Ottocento. Sono stato a Saluzzo, Bergamo, Firenze, Pisa. Proprio a Pisa ho trascorso nove anni di carcere. Qui avevo una cella singola perché ero un uomo vecchio e stanco che aveva bisogno di solitudine. Poi una notte in galera sono quasi morto e mi hanno messo fuori per ragioni sanitarie che ancora sussistono. Dopo di che la libertà di scrivere è un diritto che nessuno statuto carcerario può negare. Sono tranquillo, la mia vita è largamente trascorsa”.

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