Un filtro-antimafia per le regionali|"Segnaleremo i candidati non idonei" - Live Sicilia

Un filtro-antimafia per le regionali|”Segnaleremo i candidati non idonei”

L'intervista
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9 min di lettura

C’è chi lo definisce “finiano di ferro” per la sua vicinanza al presidente della Camera, Gianfranco Fini, soprattutto sui temi che riguardano l’antimafia e la giustizia. C’è chi, tra i suoi stessi colleghi del Pdl, lo bolla come “eretico” per le sue posizioni spesso contrarie a una certa “ortodossia” di partito. Una definizione che a lui non dispiace, perché – sostiene – “meglio essere eretico che conformista”. Di certo, Fabio Granata, vicepresidente della commissione parlamentare Antimafia tra gli artefici del codice etico per ‘filtrare’ le candidature alle prossime regionali, è oggi uno dei politici siciliani più in vista nel panorama nazionale, come testimonia lo spazio che quotidianamente gli viene riservato da stampa e televisioni. La sua influenza si fa sentire anche sulla politica regionale, come dimostra la nascita del Pdl Sicilia, di cui è stato regista assieme a Micciché e Misuraca. E come dimostra pure l’idea di convocare gli stati generali della nuova autonomia, ossia il percorso politico che inizia proprio oggi con un congresso a Siracusa e che Granata spera possa tramutarsi in un rilancio dell’azione di governo in Sicilia, attraverso il coinvolgimento di Lombardo, Micciché e Lumia.
“Livesicilia” lo ha intervistato sulle questioni più attuali in tema di politica regionale e di contrasto alle mafie.

Onorevole Granata, lei è tra i principali promotori del codice etico antimafia per ‘filtrare’ le candidature alle prossime regionali, eliminando dalle liste i politici collusi o equivoci. È un’idea che verrà tradotta in pratica?
“Questo protocollo d’intesa rappresenta un impegno di tutti i partiti. Noi assumeremo le informazioni sulle liste e indicheremo quei candidati che a nostro avviso non hanno i requisiti per diventare consiglieri regionali. È chiaro che non ci sarà l’obbligo per i partiti di ottemperare alle nostre segnalazioni, ma se politicamente sottoscrivi un protocollo e non rispondi alla segnalazione significa che un giorno non potrai dire che non eri al corrente delle parentele e amicizie di Tizio o Caio”.

Dal centrosinistra c’è chi imputa al governo Berlusconi di fare propaganda sull’antimafia, piuttosto che adottare misure efficaci.
“Su questi temi non credo che si possa parlare di propaganda del governo. Ho polemizzato con Maroni per molte politiche che riguardano l’immigrazione, ma non è un ministro degli Interni contestabile sul piano delle politiche di contrasto alle mafie. Dopo che io e Angela Napoli in parlamento abbiamo fatto approvare un ordine del giorno sull’istituzione delle agenzie, proprio per evitare il meccanismo micidiale contenuto nell’emendamento sulla vendita dei beni confiscati alla mafia, Maroni non solo ha accolto la nostra idea ma nel giro di un mese l’ha realizzata. Però, mi permetto d’insistere che la lotta alla mafia è fatta di atti e di linguaggio”.

A proposito di linguaggio, questa è una fase di forte tensione nei rapporti tra potere giudiziario e governo.
“Purtroppo la politica italiana è avvelenata dalla vicenda giudiziaria di Berlusconi. Io credo che sul premier ci sia stato e ci sia anche un accanimento giudiziario, ma questo fatto non può diventare un alibi per chiunque, anche di chi ha problemi diversi da Berlusconi, per offendere la magistratura. Bisogna ristabilire un linguaggio adeguato al corretto rapporto tra i poteri. Mi piace dire che non deve essere la magistratura a fare un passo indietro, ma è la politica che deve fare un passo in avanti, rendendo la lotta alle mafie un cardine dell’azione di governo”.

Oggi si fa un gran parlare di processo breve. Se la norma dovesse passare, a Palermo secondo l’Associazione nazionale dei magistrati andrebbero in fumo i casi più gravi.
“Infatti io sono contro il processo breve e, anche alla luce delle cose dette da Fini, credo che aver pagato un piccolo pegno col legittimo impedimento servirà a mettere definitivamente in stand-by il processo breve, che si potrà fare solo fuori dalla logica di intervento sui processi pendenti. L’auspicio di avere un’accelerazione dei tempi processuali è di tutti, ma servono risorse e uomini. Il problema giudiziario di Berlusconi non deve condurre allo strumento del processo breve così com’è inteso adesso, perché rischia di travolgere l’intero sistema giudiziario italiano”.

Torniamo all’emendamento sulla vendita dei beni confiscati a Cosa nostra. Era meglio la situazione prima senza l’emendamento, che lei ha aspramente criticato, o è meglio adesso con l’agenzia che gestisce i beni?
“Senz’altro è molto meglio così con l’agenzia, non c’è paragone. L’agenzia fa due passi in avanti: di fatto neutralizza gli effetti nefasti dell’emendamento e, per la tenuta del sistema, la capacità di gestire i beni confiscati diventa un fatto fondamentale. Tra l’altro, ho conosciuto Alberto Di Pace (nominato direttore dell’agenzia dal consiglio dei ministri, ndr) sia come prefetto sia come commissario dello Stato: lui ha ben chiare le questioni in tema di contrasto alle mafie. È una persona il cui comportamento istituzionale è ineccepibile e quindi credo che sia una buona scelta”.

A chi si riferiva Fini quando in Sicilia ha invitato a bandire ogni contiguità con le mafie?
“Ovviamente alla politica, oltre che alle imprese. Con Fini siamo stati protagonisti di una battaglia importante di blocco della candidatura di Cosentino in Campania, dove non ha avuto la stessa coerenza il centrosinistra che sta candidando De Luca, pluririnviato a giudizio con reati legati all’aggressione al territorio”.

Come valuta la sentenza d’appello che condanna Cuffaro a sette anni di carcere?
“Io sono stato in giunta con Cuffaro per tanti anni e, nell’azione concreta di governo, Cuffaro non ha mai proposto un atto che oggettivamente fosse di confine rispetto a interessi mafiosi. Anzi, su tutte le misure più rigide che proponevo io, sia in termini di difesa del territorio che di appalti – ricordo il sequestro dei pozzi durante la crisi idrica oppure l’istituzione della stazione unica appaltante – è sempre stato coerente. Però sono anche abituato a non mettere in discussione le sentenze, nel senso che i giudici conoscono il procedimento dall’interno. Alla luce di quello che ho potuto constatare in prima persona, non credo che Cuffaro abbia un modo d’agire mafioso in politica”.

Come sono adesso i rapporti con lui?
“Umanamente sono buoni. Per quanto ho detto, non mi sento di rompere il rapporto con Cuffaro”.

Che cosa ne pensa delle ultime dichiarazioni di Massimo Ciancimino?
“Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, specialmente di coloro che aprono squarci sulle stragi del ’92, vanno sempre analizzate con grande attenzione. Di una cosa detta da Ciancimino sono certo: la trattativa Stato-mafia c’è stata e un pezzo della Prima Repubblica questa trattativa l’ha condotta perché con la mafia aveva un rapporto organico e provato processualmente. Lima e Ciancimino erano mafiosi, erano i capi della corrente andreottiana, quindi mi sembra evidente che c’era il patto Stato-mafia. Ed è un fatto essenziale per la vita democratica andare ad accertare se nella prospettiva della nascita della Seconda Repubblica questo contatto è continuato e chi sono stati i protagonisti”.

Secondo Ciancimino, da quella trattativa sarebbe nata Forza Italia.
“Della nascita di Forza Italia in Sicilia ricordo che Micciché chiudeva i circoli dove si avvicinavano alcuni soggetti, ricordo Stefania Prestigiacomo che agiva con la stessa logica e mentalità. È chiaro che poi la mafia cerca sempre un rapporto con chi è al potere. Io sono convinto che quando nasce Forza Italia la mafia cerca di avviare un dialogo, ma da qui a dire che Forza Italia nasce perché lo decide Provenzano seduto a tavolino con non so chi altri, mi sembra che in mezzo ci passi un oceano”.

Passiamo alla politica regionale. Come giudica le prime settimane di vita del Lombardo ter?
“Io voglio contribuire in termini di pensiero a sostenere l’azione di questo governo soprattutto perché serve alla Sicilia. Non è un atto di fideismo nei confronti di Lombardo, è un atto di realismo politico perché i fondi comunitari rappresentano una chance importante. La politica serve a fuoriuscire da una certa idea di industrializzazione, a regolamentare il mercato dell’energia, a tutelare il paesaggio e il territorio. Bisogna procedere alla piena e rigida applicazione del Piano regionale del paesaggio che esiste dal 2000: è scandaloso che i piani d’ambito non siano stati ancora approvati e sono convinto che non li approvano perché ci sono complicità dentro le soprintendenze”.

Il governo Lombardo durerà 5 anni?
“Sì, se riuscirà a interpretare il giusto ruolo politico. Se invece si fermerà soltanto alla ricerca tattica della maggioranza dei 46 per votare provvedimenti anonimi o, peggio ancora, in linea col passato, non durerà molto”.

Lei ha chiamato a raccolta Micciché, Lombardo, i finiani e Lumia, lanciando l’idea degli Stati generali dell’autonomia. Qual è il suo intento?
“Serve una classe dirigente all’altezza, la Regione deve gestire con lungimiranza i fondi 2007-2013 e, tenendo conto che siamo nel 2010, dare un’accelerata straordinaria ai progetti. Non mi meraviglia il fatto che nel contesto di una vicenda autonomistica come quella siciliana, in un momento di grande emergenza, si possa stare insieme costruendo un’ipotesi di governo diversa. È un laboratorio interessante con una componente importante della sinistra, anche con nomi come quelli di Mario Centorrino e Beppe Lumia che non sono certo tecnici, ma politici a tutti gli effetti. Gli Stati generali rappresentano proprio la possibilità di creare una cabina di regia che sia fatta di sintesi e contaminazioni politiche e sia fuori dal bipolarismo italiano perché è chiaro che con Lumia a livello nazionale siamo su posizioni opposte. A mio avviso, sulle questioni di fondo – come l’idea di sviluppo, la legalità, la tutela del territorio, la gestione trasparente degli appalti pubblici, la necessità di arginare il clientelismo e la corruzione – questo raggruppamento può fare molto”.

Cambierà qualcosa dopo le regionali?
“Dopo le regionali il Pdl deve capire come organizzarsi. Io credo che il Pdl debba creare un’organizzazione che parta dai territori, dandosi un assetto federale che riesca a creare un rapporto serio con la Lega al Nord e con l’Mpa e i movimenti autonomistici al Sud proprio sulla base del progetto politico. Il che non significa appiattirsi nel Mezzogiorno sull’Mpa, nessuno di noi pensa a fare il Partito del Sud; e non significa nemmeno appiattirsi al Nord sui temi della Lega, che sono temi estranei alla nostra cultura politica”.

È vero quanto sostiene Micciché, cioè che il governo Berlusconi è un “monocolore leghista” e le ragioni della Sicilia e del Sud non trovano spazio?
“C’è una certa differenza rispetto a come la vede Micciché, cioè per me la Lega fa il suo mestiere. Ogni partito cerca di creare egemonia all’interno del proprio schieramento e questo la Lega lo fa bene. È la debolezza strutturale e programmatica del Pdl che apre spazi. D’altra parte, ha ragione Micciché a dire che a livello di Sicilia dobbiamo contare di più, nel senso che la nostra strategia deve essere economico-politica e guardare al Mediterraneo e non alle Alpi. Credo che però il problema non sia rivendicare più o meno fondi, perché al Meridione e alla Sicilia non sono mancati i fondi: è mancata la classe dirigente che ha tradotto le opportunità economiche in opportunità politiche, è mancata la chiarezza sul modello di sviluppo”.


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