Nella rete del pescivendolo - Live Sicilia

Nella rete del pescivendolo

Il retroscena
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Ha messo in giro la voce che si sarebbe trasferito a Milano per un po’ ed è sparito. Invece, Salvatore Giordano, ultimo uomo d’onore a spezzare i legami di una vita con la famiglia mafiosa, è andato alla Dia e ha annunciato l’intenzione di collaborare con la giustizia. Un po’ per timore di finire in carcere, un po’ perché dalla cosca arrivavano richieste sempre più stringenti. Così il pescivendolo dello Zen ha cominciato a raccontare i segreti dei clan, pronti a stringere una nuova alleanza e a mettere da parte le antiche rivalità per superare la crisi del momento. Allo Zen, dove gestiva una pescheria, non l’hanno più visto. Ma nessuno ha sospettato cosa ci fosse dietro la sua scomparsa. In un siciliano strettissimo Giordano ha descritto i business della mafia – estorsioni, centri scommesse e slot machines, ma anche tangenti su lavori – e fatto i nomi dei nuovi capi e dei gregari. Una valanga di informazioni che hanno consentito agli inquirenti di ridisegnare la mappa di tre importanti mandamenti cittadini – San Lorenzo, Tommaso Natale e Acquasanta – e di fermare nove persone. Come Antonino Di Giovanni, ex dipendente del lussuoso albergo Villa Igiea, già condannato per mafia, nuovo capo della famiglia dell’Acquasanta e il suo braccio destro Francesco Lo Cicero. E’ stato Giordano a indicare agli investigatori la base scelta dai due per le riunioni di mafia: la “Di Giovanni Servizi Nautici Acquasanta”, il rimessaggio di barche gestito dal boss. Al telefono non dicevano una parola. Atterriti dalle intercettazioni, tra scafi e attrezzi, però, progettavano la nuova alleanza con le altre cosche cittadine “per arrivare – spiega il procuratore di Palermo Francesco Messineo, a un controllo unico delle attività criminali”. “Non c’é più ora destra e sinistra – dice il pentito Giordano agli inquirenti per descrivere la strategia di Cosa nostra – ora siamo tutta una cosa. Se lei ha il mal di testa, ce l’ho pure io”. Un personaggio chiave, dunque, Di Giovanni.”Tutti i capi mandamento di Palermo – racconta il collaboratore – vanno lì a prendere dei consigli, che lui è quello che dirà delle cose di Palermo”. E nella “nuova alleanza” rientra anche il riavvicinamento tra due “anime” storicamente contrapposte di Cosa nostra: quella dei cosiddetti “rotoliani”, come Gianni Nicchi, che facevano capo al boss Nino Rotolo, e quella dei fedelissimi di Lo Piccolo come l’architetto Giuseppe Liga. Anime tornate a convivere – dicono i pentiti – dopo anni di contese anche violente. Di Giovanni gestiva anche gli affari: dal racket del pizzo, alle tangenti – pure sui funerali (la mafia chiedeva il pizzo alle pompe funebri)- e alle slot machines, vecchio business di Cosa nostra. Per la gestione di alcune attività – come due centri scommesse sequestrati – il clan ricorreva a prestanomi: due, marito e moglie, sono stati arrestati. E dall’indagine spuntano anche nomi storici di Cosa nostra. Se Di Giovanni era dominus assoluto dell’Acquasanta, un tempo feudo di Tanino Fidanzati e dei Galatolo, a San Lorenzo, regno dei Lo Piccolo, comanda Giuseppe Biondino, nipote di Salvatore, uomo di fiducia del capomafia di Corleone Totò Riina. Nella lista dei nove fermati c’é anche lui. Come Di Giovanni terrorizzato dalle microspie, per i summit aveva scelto un bar.


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