E l'arcivescovo gridò: | "Palermo è nuda" - Live Sicilia

E l’arcivescovo gridò: | “Palermo è nuda”

Le parole di Romeo
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Ci voleva il coraggio di un uomo di Dio per raccontare quello che gli uomini hanno dimenticato. Ci voleva l’anima fanciullesca di un vecchio prelato per gridare la nudità di Palermo, per renderla scandalosa, per sollevarla da quella feccia di normalità che è la nostra gravissima colpa e la nostra peggiore condanna.
Il problema non risiede nella vista e nemmeno nella lingua. La ferita è nell’orecchio, il corto circuito è nella memoria. Tutti osserviamo il disastro di Palermo, tutti incocchiamo parole disperate nell’arco della nostra rabbia, mirando verso bersagli di cartone. Se il palermitano non ama Palermo così com’è, né si capisce come potrebbe amarla, perché l’incandescenza si ferma alla larva dell’indignazione? Perché il tormento non diventa rivalsa e infine rivolta? Perché circoscriviamo la coazione a ripetere dei nostri desideri dentro perimetri che soffocano e disorientano? In una parola: perché non mutiamo mai rotta? Sono i politici che spengono le prese della Bastiglia sul filo della lama di invisibili armigeri? E’ il sindaco che rovescia ettolitri di olio bollente sul capo dei giacobini panormitani dai torrioni di Palazzo delle Aquile? Chi dovrebbe sorvegliare questa oscena municipalità di regnanti coronati e servi della gleba oppositori? Infatti, il veleno della città – ammonisce Romeo – è nella sua incapacità di favorire percorsi collettivi. Ognuno pensa per sé. Con la mano destra fa le corna al sindaco, con la sinistra mendica qualche spicciolo per la pignata nella segreteria dell’amico onorevole di turno. E spesso non furono spiccioli, furono prebende, assunzioni e lauti stipendi sbocciati come fiori gonfi di male alla luce soffusa di una consolante doppia moralità che concepisce gli errori altrui come peccato mortale e i propri come legittima difesa di borsa e  giungla.

Paolo Romeo ha messo Palermo davanti alla sua nudità. L’ha strizzata per bene, affinché si renda conto della sua miseria che non è solo materiale. E’ povertà di concepimento intellettuale, di risveglio etico, di felicità nel quotidiano. Per questo l’uomo di Dio con la sua voce da fanciullo ha fabbricato uno scomodo specchio in cui riflettere tutto e tutti. A guardarlo senza veli, il vetro ci mostrerà l’inferno. Ci toglierà la bambagia dalle orecchie. Disperderà ai quattro venti la reazione di banale normalità con cui ormai accogliamo ogni sconcezza e ogni precipizio. Sarà utile lo specchio dell’arcivescovo a  noi poveri diavoli di Palermo? Forse,  solo se sapremo finalmente distinguere la strada che conduce al sollievo del purgatorio. Un sentiero di sassi e consapevolezza. E prima del paradiso passeranno secoli di lacrime.


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