Quel che resta di via D'Amelio - Live Sicilia

Quel che resta di via D’Amelio

La fine delle manifestazioni
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E adesso via D’Amelio ritorna via D’Amelio. Torna alla sua integrità urbanistica in esclusiva, alle macchine dei dintorni in doppia fila, agli spessi parcheggi, ai pochi slarghi per giocare a pallone. Si spoglia della sua porpora civile. Ecco una strada di Palermo come tante, una strada nuda.
In un certo senso è meglio così, la nudità ci aiuta a ricordare con più forza. Era nuda via D’Amelio il giorno in cui Paolo Borsellino morì. Nuda e comune era, un attimo prima che la lancetta segnasse l’ora di Cosa Loro, regalando alla zona una orrenda e sempiterna fama.
Non abbiamo nemmeno bisogno di immaginarlo il giudice Borsellino, nel caldo pomeriggio di una domenica di luglio. Antonio Vullo, il suo autista, ha raccontato tutto. Ha raccontato l’andatura lenta e un po’ curva del “dottore”, l’accensione della sigaretta, il sorriso. Vullo racconta finché si può e ogni volta gli trema la voce. I suoi nervi sono corde scorticate, tra lui e l’esplosione la sfida non è mai finita. Il sorriso di cui parla l’autista ricorre nella biografia del vivente, moribondo e infine morto Paolo Borsellino. I suoi amici – i compari amabili di Paolo – compongono il ritratto di un uomo sempre allegro, disponibile alla battuta, sul confine acuminato del sarcasmo. Il sorriso dell’ascensore. Perché ride, dottore? “No, ho letto: capienza ottocento chili. Ma ci capi Enza, ci entra?”. E una mestizia brutta, un velo improvviso: “Ragazzi, mi dispiace che quando accadrà ci sarete anche voi”. E le passeggiate da solo, dal barbiere o dal giornalaio. E i giri lunghissimi, come per urlare: ammazzatemi ora. E le lacrime sui corpi di Biagio Siciliano e Giuditta Milella, ragazzi innocenti del liceo “Meli” falciati dalla corsa di un’auto di scorta, guidata da un carabiniere perlomeno maldestro. E i travestimenti. E la voglia di respirare, di trovare uno slargo, o un appiglio sulla parete della sorte. E la tortura di un padre che smette di accarezzare i figli per abituarli.

E il sorriso, infine, invincibile,  come lo spiega la figlia che compose i suoi resti. “Papà sorrideva”. E noi che prima pensiamo alla pazzia di un momento, alla necessità di consolare chi resta. E crediamo davvero, dopo un rimescolio interiore. Crediamo al sorriso di Paolo Borsellino, nonostante lo strazio della carne. Un’ironia tra i baffetti sporchi di polvere. Una pepita d’umanità, trascinata a fatica nel passaggio stretto. La vera eredità, il testamento.
La nudità di via D’Amelio. Vullo ha detto tutto. C’è il giudice con la sua giacca, con i suoi pantaloni stagionati  (ne comprava un paio ogni tanto). Una mano cerca la sigaretta e la trova. L’accendino è un lampo azzurro. Le dita incespicano sul pulsante del citofono. Dopo è tutto impossibile. Invisibile.

Domani torneremo tra le macchine di via D’Amelio e dei dintorni. Cercheremo alla cieca sui balconi, per terra, negli scaffali dei negozi, tra gli alberi. Se ci chiederanno il motivo del nostro brancolare, risponderemo.
Ci deve essere il fantasma di una sigaretta da amare, ora che le sirene e le parole sono spente. C’è sicuramente lo specchio di un sorriso da raccattare.

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