Qualsiasi protesta, a Palermo, andrebbe idealmente organizzata con il bel tempo. Si sa infatti che bastano poche gocce di pioggia per rendere il traffico palermitano ancora più caotico di quanto non sia normalmente. Diventa proibitivo muoversi con i mezzi (come se, normalmente, fosse semplice: ma insomma, diventa più difficile) e, a piedi, bisogna mettere in conto di bagnarsi fino alle ginocchia. Ci ho messo un’ora ad arrivare dal centro storico a via Praga, dove ieri pomeriggio alle 16.30 si protestava contro lo sfascio della scuola. Come me, molti altri devono aver trovato difficile arrivare e si devono essere scoraggiati. Eravamo pochi, in maniera desolante. E in più, devo prendere atto che eravamo, perlopiù, i soliti noti: insegnanti di ruolo di ultima generazione, quelli entrati da qualche anno, rimasti precari nell’anima anche se ormai hanno raggiunto l’ambito traguardo della cattedra; “precari storici”, quelli che – in un modo o nell’altro – qualche catttedra sgarrupata riusciranno a prenderla, magari in una sede più disagiata dello scorso anno; “insegnanti democratici”, gli impegnati in ogni occasione, quelli che non mancano un appuntamento neanche se hanno le gambe rotte.
Gli altri non c’erano: affogati nel traffico cittadino o rimasti a casa. Al di là della manifestazione di ieri, i cui esiti risultano effettivamente falsati dalle condizioni metereologiche, l’impegno del personale della scuola nella protesta è schizofrenico, discontinuo, disunito. I “vecchi” insegnanti di ruolo ritengono, nel bene e nel male, di essere al sicuro da possibili tagli e ridimensionamenti e rispondono alla logica del tirare a campare; i precari di nuova generazione – quelli che più di tutti dovrebbero essere arrabbiati, perché presi in giro già negli anni della formazione – sono invece spesso assenti, rassegnati a farsi le valigie, troppo impegnati a cercare di trovare uno spezzone di cattedra sfuggito alle forbici implacabili del ministro. Si sentono comunque fuori dal mondo della scuola, esclusi pure dal diritto di protestare.
D’altra parte, anche noi che c’eravamo siamo parte di questo atteggiamento schizofrenico. Protestiamo ma non ci crediamo. Non crediamo che possa servire veramente a qualcosa, se non a rimandare il disastro. Personalmente protesto per una sorta di sindrome del Titanic: quando la nave affonderà, non voglio essere considerata responsabile. Voglio piuttosto essere annoverata tra coloro che continuavano a suonare anche mentre si colava a picco. Voglio essere scritta nella lista dei cattivi, degli insegnanti sovversivi, strumentalizzati, come direbbe il ministro Gelmini. Ma non credo che quello che facciamo possa servire a fermare il disastro. A nessuno interessano le magnifiche sorti della scuola pubblica, siamo ormai al “si salvi chi può”.
Alla fine, la manifestazione è l’occasione per contarsi. Per rivedere persone con cui hai condiviso, ad esempio, la formazione – la scuola di specializzazione, l’università. Conclusa la protesta, a cui ero arrivata da sola, ce ne siamo andati in quattro, tutti nella mia 600 blu lasciata a notevole distanza da via Praga. Sono tornata a casa con la sensazione di non essere sola. E con la voglia di cantare. A chi, disilluso, non c’era: se ci hai già rinunciato e mi ridi alle spalle, forse sei ancora più pazzo di me.
Ho apprezzato questo intervento, ma mi chiedo: forse è la forma della protesta che non va più bene? Forse servirebbe qualcosa di più incisivo, come nel caso dello sciopero dei benzinai, loro sì che riescono a fermare tutto, dopo una settimana senza benzina si cominciano a vedere scenari apocalittici, tali da buttare giù dalla cara poltrona il ministro di turno. Penso che se ai genitori venisse a mancare il servizio primario dell’istruzione ai figli dopo poco tempo qualcuno dovrebbe seriamente iniziare a preoccuparsi. Certo, sto dando per scontato che nell’ambito della scuola possa manifestarsi una solidarietà tale che anche i professori di ruolo, di fronte allo scempio in atto, prendano parte ad una iniziativa di tale spessore.
I “vecchi” insegnanti di ruolo non si sentono affatto al sicuro da ridimensionamenti né da tagli e spesso hanno scioperato persino al posto dei precari. La professoressa, che da questo sito è chiamata a seguire con passione le sorti della scuola senza crederci, dovrebbe tenerne conto invece di generalizzare e fare, come si suol dire, di tutta l’erba un fascio;considerando poi il fatto che è ritornata dall’escursione in compagnia, sia pure in versione di tassista, la prof dovrebbe essere ulteriormente rassicurata da questo aruspicio positivo perché, se la vogliamo proprio gettare in musica,a Gino Paoli, che cantava di avere quattro amici al bar e di essersi poi improvvisamente ritrovato da solo, è finita anche peggio.
Notevole e drammatico l’intervento della docente, nella quasi indifferenza di tutti e con lo sfottò di “do”.
Indifferenza pari a quella di una nazione analfabeta di fronte al dramma della scuola. Alla gente che importa della scuola dei figli? Nulla, basta che li accompagnino col SUV.
Sfottò che proviene da un componente di quella stessa classe docente che lui sa essere piena di elementi squalificati, ignoranti, scansafatiche e qualunquisti. E dovrebbe essere ceto intellettuale… ma per favore!!!
Questo è il quadro del mondo della scuola oggi, visto dalla parte di chi ci lavora: qualcuno protesta per tutti e tutti gli altri gli ridono sopra.
Alla lunga sono forse gli sfracelli iniziati con il “doppio canale” creato ai tempi della DC (altro che sinistra come sostengono quei delinquenti che stanno oggi al governo) e l’immissione nelle classi di chiunque e chicchessia. Forse.
Comunque sconsolante.
Caro Saverio, sono d’accordo con te. I genitori però non dovrebbero aspettare azioni eclatanti per protestare. Invece se la prendono con noi se blocchiamo gli scrutini, per esempio, o diciamo che con zero risorse non possiamo più garantire il tempo prolungato. Che fanno i genitori? Niente. Prendono i figli e li portano alla scuola privata, dove nessuno protesta, blocca gli scrutini, c’è la mensa e il doposcuola. Con i soldi dei contribuenti e in barba alla Costituzione. Siccome tutti ci dicono che prtestiamo per lo stipendio e pare che questa sia una brutta cosa, comincino a protestare anche genitori e studenti, che mi sembrano coinvolti nella questione.
Do, io parlo di quello che vedo. E per un docente di ruolo della vecchia guardia che protesta, ce ne sono 10 che non sioperano “tanto non mi riguarda”. Dovevi vedere la faccia della mia collega quando l’anno scorso le ho detto che scioperavo. Mi ha considerato persino cretina, perché da noi appena si parla di sciopero, gli alunni non vengono e quindi si passa una mattinata nella pace degli angeli. Io invece – povera scema – mi sono fatta togliere i soldi dallo stipendio.
Quanto al finirmi meglio di Gino Paoli, ne prendo atto.
Orazio, credo di aver risposto già a quello che hai detto. Non potrei essere più d’accordo. E quanto al doppio canale, è una vergogna che grida vendetta al Signore. Ecco, quello sì che era un modo di reclutare gente che non aveva nessun titolo per insegnare. Altro che “vecchi docenti preparati”.
Mi permetto di emigrare dai commenti a “L’ultima ora del prof”, ora fuori pagina, a questi. Avevo scritto: “Leggo le riflessioni della professoressa Daniela e la risposta del dottor Puglisi che ribadisce la necessità che i professori riflettano sul senso della loro attività. “Senso” è una parola difficile e compromettente. Difficile perché presuppone il possesso di tutti quegli occhi neccessari alla piena consapevolezza. E questi non scaturiscono né dal titolo di studi, né dall’impegno, né dai riconoscimenti altrui, non avendo, chi tributa i riconoscimenti una patente di credibilità certa. Dalle parole della professoresa Daniela emerge che l’attività al di fuori dell’aula sia una prerogativa degli insegnanti seri. E’ un’affermazione micidiale. Se ne dovrebbe dedurre che l’attività di aggiornamento e di preparazione delle lezioni sia un optional e non un dovere. Infatti coloro che vi adempiono non sono seri, sono soltanto leali rispetto al proprio compito. Gli altri, invece, lo gestiscono in malo modo o, detta in latino italianizzato, sono “linquenti” (verbo padre di “delinquere”). Merito agli onesti? Pesante come concetto, se non in un microcosmo in cui la regola sia la disonestà. E ancora: concordo con la professoressa Daniela che non si debba rimpiangere il passato e che si debba costruire il futuro. Non capisco, però, se questa affermazione contempli il disinteresse verso tutto ciò che, nel tempo, si è rivelato fondamentale. Come dire: poiché i tempi (cioè i costumi, non gli uomini) sono cambiati, azzeriamo la memoria di ciò che è valso tanto da trasformarsi da valore in principio e da considerasi, quindi, immutabile. Rimpiangere il passato no, d’accordo, ma disattivare i principi neanche poiché, questo sì, sarebbe ed è un modo ipocrita da parte dei professori di disimpegnarsi. Affermare che gli uomini cambiano è un assunto “ignorante”. Gli elementi fondamentali di ogni uomo sono i suoi sentimenti, il resto sono abitudini. Queste possono cambiare, ma ciò non vorrà dire che gli uomini (siano essi ragazzi o adulti) siano “cambiati”. Chiedo alla professoresa Daniela: mi indica, a far data a sua scelta (da mille anni in qua, da cinquecento, da cento,da cinquanta, da venti) un solo sentimento nuovo rispetto a quelli conosciuti sin dall’antichità? Non le chiedo una diversa applicazione di un sentimento, un diverso obiettivo, ma proprio un nuovo sentimento che possa far affermare, come lei ha superficialmente fatto, che i ragazzi siano cambiati nella sostanza. Prevengo i suoi dubbi sulla mia titolarità nel porle simile quesito, ma dovrà fidarsi. Ne ho titolo sul campo. Ovviamente potrà dare a questa mia affermazione nessun credito.
Nessuno ha il dovere d’essere Socrate, ma il suo essere considerato ancora dopo 2.500 anni il Maestro dei maestri, mi creda, non è stato legato alla dotazione di matite o di stipendio. Ed anche ai suoi tempi i ragazzi non erano più quelli di una volta. Come sempre per i ragazzi. Socrate, ma le altre migliaia di bravi professori che nei secoli si sono succeduti, hanno semplicemente saputo adattare alla scuola gli allievi, attreandoli. E non, come deludentemente afferma la professoressa Daniela, adattando la scuola ai ragazzi. Deludentemente, ma grazie a lei abbiamo più chiaro un “perché” importante della crisi di sostanza della scuola.” –
Aggiungo: quella Dc che promosse lo sfacelo della scuola credo che fosse quella che oggi sta a sinistra della sinistra. Quanto ai genitori… spesso sono soltanto incolpevoli carnefici dei propri figli, con la pretesa che sia la scuola a sostituirli. Ma questo è un altro tema. Infine: ho una mia familiare, che adoro, che insegna storia alle superiori. Qualche tempo addietro le ho chiesto: hai parlato in classe delle novità emerse dai libri di Gianpaolo Pansa (giornalista di sinistra) sui crimini dei comunisti in Italia dopo la fine dell’ultima guerra? Mi ha risposto: non sono in programma. Le ho chiesto: parli in classe di Berlusconi? Mi ha risposto: Di quel mascalzone? Certo. Le ho chiesto: è in programma? La mia adorata parente mi ha soltanto sorriso.
Anche questa è scuola.
Vorrei rassicurare il gentile signor Orazio che:
1.Sono entrata di ruolo dopo aver vinto un concorso, nienti doppi canali, niente escamotage( abilitazione al sostegno senza averne vocazione, insegnamento di religione, raccomandazioni di varia specie etc etc..)
2.Non sono chicchessia poiché i miei titoli sono specifici, documentati, validi e prestigiosi, se mi riferisce un indirizzo privato magari gliene mando copia con voti espressi in centesimi.
3.Ho criticato la leggerezza che è stata adoperata per inchiodare i vecchi ( parlo in termini di esperienza non di età pensionabile)all’insegna del menefreghismo:anche i docenti di vecchia data sono intaccati da tagli e da ridimensionamenti.
4.Ho scioperato sempre anche quando i precari della mia scuola non lo facevano, li ho capiti perché un padre e una madre di famiglia ci pensano due volte a sacrificare una quota a quel nulla che gli stessi sindacati hanno contribuito a diffondere.
6.Su 23 alunni solo un genitore accompagna il figlio a scuola con il Suv.
5.Concordo con Filius che noi dobbiamo essere al passo coi tempi non solo con il programma.