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Tutti gli uomini del presidente

I numeri del governo, ci sono i finiani
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Le trattative vanno avanti in vista del battesimo del quarto governo, in due anni, di Raffaele Lombardo. La pratica più complessa, in questa fase, è quella relativa alle anime del Pdl Sicilia che non fanno capo a Gianfranco Miccichè, ossia i finiani e i deputati che fanno riferimento a Dore Misuraca. I primi chiedono due assessori (l’uscente Nino Strano e Gianmaria Sparma), i secondi ne vorrebbero uno che soppianti il tecnico Gateano Armao, entrato in giunta in quota Misuraca ma considerato ormai più vicino al governatore. Il confronto va avanti in cerca di un’intesa. Se Lombardo rompesse con entrambi, non resterebbe più nulla, se non il suo Mpa, della coalizione con la quale il governatore ha vinto le elezioni, offrendo al Pdl il fianco per un’accusa di ribaltone a 360 gradi. In realtà, nelle ultime ore, il presidente sembra avere incassato anche l’appoggio di Futuro e Libertà, che ha posto qualche blanda condizione sul programma. Insomma, i finiani ci sono.

Dalla parte del governatore, però, gioca l’aritmetica, in ogni caso. Perchè facendo due conti, il suo quarto governo potrebbe contare su una robusta maggioranza forte di una cinquantina di deputati, anche senza gli uomini di Fini e Misuraca. Come si arriva alla fantomatica quota 50? E’ presto detto. Anzi tutto c’è l’Mpa, che schiera tredici deputati. Dentro il movimento di Lombardo c’è qualche mal di pancia, Lino Leanza ad esempio non sarebbe molto lieto di lasciare la poltrona di assessore e avrebbe sponsorizzato l’ingresso in giunta di Patrizia Monterosso, ex dirigente della Formazione. Anche Paolo Ruggirello sarebbe sul piede di guerra, ma in casa Mpa si pensa di superare le difficoltà senza troppi scossoni. Ai 13 deputati della colomba si aggiungono i 27 del Pd. Anche qui i distinguo fioccano e il malessere è diffuso. Ma dopo la mezza benedizione di Bersani ottenuta stamattina da Lupo e Cracolici, è difficile che il gruppo si spacchi più di tanto. E così siamo a 40, con non più di tre o quattro voti non sicurissimi (tipo gli irriducibili Barbagallo e Donegani del Pd). C’è poi l’Udc di rito casiniano. Che in principio contava un deputato, il messinese Ardizzone, uomo di Gianpiero D’Alia. Al quale s’è presto aggiunto Forzese da Catania. Seguito dalla new entry Mario Parlavecchio, che stamattina ha incontrato a Roma il segretario Cesa manifestando “apprezzamento e condivisione per la linea politica nazionale”.

Anche il ragusano Orazio Ragusa e l’agrigentino Totò Cascio erano dati dai boatos di Palazzo in rotta di avvicinamento verso Lombardo, ma entrambi hanno firmato, con altri sei deputati regionali, un documento critico verso la segreteria nazionale del partito. Con i tre Udc si arriva a 43.Ai quali si aggiungono i due rutelliani, Bonomo e Lo Giudice, organici alla nuova maggioranza, e, con ogni probabilità, il capogrupo del misto Dino Fiorenza. Fanno 46 (che è maggioranza all’Ars), con solo tre o quattro possibili scricchiolii tra Mpa e Pd. Ma nella maggioranza si fa affidamento anche su qualche seguace di Gianfranco Miccichè che potrebbe non seguire il sottosegretario dopo la rottura e sulla pattuglia catanese del gruppo di Misuraca (che però ieri ha solidariezzato col lui). Si arriverebbe così alla fatidica quota 50. Oltre la quale, i cinque deputati finiani saranno tutto grasso che cola.


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