Sgarbilandia, il regno col re in bilico - Live Sicilia

Sgarbilandia, il regno col re in bilico

La voce del “papa” Michele Greco arriva profonda da un abisso di tempo e di spazio. Impartisce la sua benedizione blasfema e sardonica. Offre ai giudici la pace. La augura, minaccioso. La agita, come un ramoscello d’ulivo infilato nella canna di una lupara. E c’è la cabina del macello, con le piastrelle che odorano di sangue animale, con un video cruento in cui non si distingue più l’identità dei morti ammazzati per mano mafiosa, dal volto degli animali scannati a martellate e scuoiati da un coltellaccio. Il brivido ammorba il cuore. Cambi stanza. Ecco le pagine che hanno raccontato la mattanza, mentre il tour è tallonato da un ticchettio da macchina da scrivere di sottofondo. La prima pagina di “Repubblica” sull’eccidio di Capaci. Il “Corriere” che gronda di lacrime il 20 luglio, il giorno dopo di via D’Amelio. Paginone colorato del “Giornale di Sicilia”. Titolo sparato: “Andreotti assolto”. E’ il museo della mafia di Salemi, nato dall’ingegno multiforme di Vittorio Sgarbi e dalle mani operose di Cesare Inzerillo. E’ un capolavoro di intelligenza e di poetica. Alla fine di ogni emozione – e per ogni storia c’è una cabina scura che si illumina, come la porta di un ascensore, quando la apri – brilla una scheda riassuntiva che sintetizza il problema. La mafia emotivamente imposta nel suo carico d’orrore ai siciliani che ci hanno fatto l’abitudine e che qui si riscoprono indifesi, come al cospetto di una complicata e non prevista verginità di senso. La mafia spiegata ai forestieri nel suo sillabario primitivo, nel catalogo informe delle sue nefandezze.

Il museo è una prova tangibile. Vittorio Sgarbi è passato da qui, tra queste pietre. E ha lasciato lo strascico rarefatto delle idee. Ma tra Salemi e il sindaco che mandò a quel paese Mike Bongiorno, in un’epica sfida televisiva, dicono che non corra più buon sangue. Lo sussurrano le voci della piazza del paese. Lo sostengono i politici che un tempo erano con lui e che, adesso, lottano contro di lui. Perché? Le chiacchiere a Sgarbilandia si trasformano in una superficie dura d’accusa. “Siamo stati traditi da Vittorio – sibila Giusy Asaro, presidente del consiglio comunale -. Il primo cittadino non ha più la maggioranza in Consiglio. Abbiamo anche pensato alla mozione di sfiducia. Il punto è che non vogliamo favorirlo. Non vogliamo imprimergli addosso l’aura del martire rinnovatore, cacciato da un gruppo dirigente restio al cambiamento”.

Forse non ci sarà bisogno di cacciare nessuno, però. Vittorio ha un diavolo per capello. La revoca della scorta non gli è piaciuta. Sgarbi minaccia dimissioni. Non gli credono affatto. “Non se ne andrà – punta il dito Giusy Asaro – è un bluff. Era naturale levargli la scorta. Ogni volta che viene qui va via da solo con Giammarinaro. Magari sparisse, il paese ricomincerebbe a respirare”. E qui bisogna spiegarla bene, perché la signora Asaro, all’inizio, era una delle più accanite sostenitrici dello Sgarbismo. Come mai ora milita nella trincea contraria? La chiave è in quell’unica paroletta “Giammarinaro”. Sarebbe il cognome che segue il nome “Pino”. Letto tutto insieme “Pino Giammarinaro” è l’evocazione del potere a Salemi e dintorni, con una goccia di sulfureo. E’ il politico chiacchieratissimo che ha voluto l’esperimento Sgarbi. Giusy ha abbandonato proprio Pino, suo antico mentore. “Perché mi sono resa conto del danno. Lui blocca il paese. Non si muove foglia che Giammarinaro non voglia”. Il resto è una logica slavina di rapporti e alleanze.

La pietra dello scandalo è stato il recente rimpasto in giunta, annunciato da uno scarno comunicato: “I nuovi assessori sono Salvatore Angelo, già Preside del Liceo Classico D’Aguirre (Prg, Pubblica Istruzione, Attività Produttive, Artigianato, Commercio); Salvatore Sanci (Edilizia popolare, Sport, Contenzioso, Spettacolo, Servizi Sociali,); Giuseppe Ilardi (Cimitero, Società partecipate, Protezione Civile, Manutenzioni e Lavori Pubblici)”. “Sono tre uomini di Giammarinaro – prorompe Giusy Asaro – siamo tornati all’antico blocco di comando. Vittorio era l’uomo del rinnovamento e gli abbiamo creduto con passione. Con questo atto ha dimostrato di essersi piegato alle logiche della conservazione. Noi siamo tanti, crediamo trasversalmente al rinnovamento di Salemi. Ma la condizione essenziale è che lui si faccia da parte, perché è il tappo del cambiamento. Guardi, io sono opposta a quell’area, però le giuro che voterei perfino un candidato del Pd pur di svoltare”.

Secondo i malpensanti la ragione di quello che chiamano “il voltafaccia” del sindaco Sgarbi è politicante. C’entrerebbe Saverio Romano, amico di Giammarinaro, in procinto – si narra – di decollare per un ministero con Vittorio Sgarbi sottosegretario. Da qui la condiscendenza del sindaco salemitano, ingolosito dal prossimo traguardo simil-ministeriale. Siamo nell’ipotetico, of course.
I giovani stagisti, intanto, sono entusiasti. “Amiamo lavorare con Vittorio, lui ascolta tutti”. E’ vero. All’inizio, quando il museo della mafia era ancora un concetto spinoso, una stagista, appena arrivata, affrontò a brutto muso il suo ideatore: “E’ una porcheria”. E lui, Sgarbi, invece di alzare le spalle e congedarla, ci litigò per due ore, in prima persona. La convinse.

Il mal di pancia a Salemi c’è, si tocca il lato dolorante e scaturisce un sordo brontolio. In piazza e nei dintorni, i passanti si accaniscono (campione breve, non c’era il tempo di consultare l’elenco telefonico di Salemi). Alcuni accusano Sgarbi di avere favorito, magari per scarsa conoscenza, il clientelismo “Giammarinariano”. I bene (o male) informati raccontano della gelida freddezza di Raffaele Lombardo nei suoi confronti. L’aggettivo non è sovrabbondante. Serve a rafforzare l’abituale quota di ghiaccio che il presidente della Regione innesta nei suoi contatti umani e politici. Significa che Raffaele non sopporta Vittorio. Ma, cautamente, avrebbe avvertito i suoi: “Non provochiamolo, non attacchiamolo. Non voglio averlo come nemico. Solo lui ci manca”. Saggia proposizione.
In certi contesti l’uomo che mandò a quel paese Mike Bongiorno è il diavolo. Lo descrivono come uno sperpera-fortune, come uno che vuole scialare quarantamila euro solo per il gusto di un dispetto proprio Lombardo che non ha mandato la Regione al Bit di Milano. E Sgarbi intende essere presente.
C’è un documento firmato da alcuni consiglieri comunali che prendono le distanze.  “L’ultima volta che ci siamo parlati è finita a vucciria – racconta una gola profonda -. Mi ha urlato: non sei mai contento! E non ci parliamo più”. “Ormai è tutto crollato”, mormora Giusy Asaro. Appare sconsolata.

Al caffè della piazza, altri malumori tra i clienti e qualche sparuto difensore. Ecco l’assessore, presunto esponente del Giammarinaro’s club, afflitto da nome e cognome tecraticamente impegnativi. E’ Salvatore Angelo. Totò, per gli amici. Sorseggia un caffè. Sorride. “Sa perché Vittorio ha deluso? Perché qui tutti si aspettavano la Canalis e Clooney come assessori e sono spuntato io. Capisco il disappunto”. Poi, rincara: “Dobbiamo dare a Salemi un buon profilo amministrativo. Ci vuole una giunta che governi e non si occupi solo d’immagine, cosa che peraltro va benissimo. Ci vogliono assessori del territorio”. Infatti, non ci sarà Morgan, che avrebbe aggiunto un ulteriore tocco di zolfo all’intricata mistura. Il cantante, designato per interpretare il ruolo di assessore all’Ebbrezza, ha rinunciato alla poltrona, per scegliere un più remunerativo contratto con la Rai. Prosit.


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