Da Aiello alle sentenze, tutte le tappe - Live Sicilia

Da Aiello alle sentenze, tutte le tappe

“Avia raggiuni Totò...”. Potrebbe essere racchiusa in questa frase, sempre contestata dalla difesa, la vicenda giudiziaria di Totò Cuffaro, l’ex presidente della Regione siciliana dimessosi nel gennaio 2008 dopo la condanna in primo grado. A pronunciare quella frase è stata la moglie di Giuseppe Guttadauro, valente chirurgo, viceprimario dell’ospedale Civico di Palermo ma anche capo del mandamento mafioso di Brancaccio, quello dei Savoca e dei fratelli Graviano. Aveva saputo che all’interno della sua casa, dove teneva riunioni elettorali e mafiose, c’erano delle cimici. E a fargli questa importante confidenza sarebbe stato Domenico Miceli, suo collega al Civico e delfino di Totò Cuffaro, che ricopriva la carica di assessore alla Salute al comune di Palermo. La fonte di questa informazione sarebbe proprio lui, l’allora governatore siciliano. Ma, nonostante la soffiata, gli inquirenti avevano registrato abbastanza da arrestare Giuseppe Guttadauro nel novembre del 2002 nella cosiddetta operazione “Ghiaccio”. E nell’estate del 2004 le manette scattano anche per Domenico Miceli con l’accusa di concorso esterno: era il candidato di Cosa nostra nelle elezioni regionali del 2001. Nel frattempo a Cuffaro viene notificato l’avviso di garanzia.

I segreti della mafia
Le notizie giunte alle orecchie di Guttadauro
hanno compromesso un’indagine che prometteva bene visto che il boss e i suoi compari non avevano freni nelle loro conversazioni. Al punto che in una di queste si parla dei grandi segreti della mafia siciliana come, ad esempio, l’omicidio del generale Dalla Chiesa. “Ma chi cazzo se ne fotteva di
ammazzare Dalla Chiesa… andiamo, parliamo chiaro…” diceva Guttadauro all’amico Salvatore Aragona che, poi, parlerà ai magistrati subito dopo l’arresto di Miceli.

I rapporti con Aiello
Oltre alla fuga di notizie giunta a Guttadauro,
a Cuffaro si contesta un’altra fuga di notizie, quelle riguardanti l’ingegnere Michele Aiello, il “ras” della sanità siciliana, primo contribuente del fisco nell’Isola. Alle sue orecchie è giunta notizia che era intercettato. Anche dietro questa “spifferata” ci sarebbe Totò Cuffaro. Celebre è diventato l’incontro nel retrobottega di un negozio di articoli sportivi di Bagheria fra il presidente della Regione e Michele Aiello dove, secondo l’accusa, oltre a riferire notizie coperte da segreto, Cuffaro avrebbe anche concordato il tariffario regionale dei rimborsi alla clinica Villa Teresa dell’ingegnere. Seguendo questa pista gli inquirenti scoprono le cosiddette talpe: il maresciallo della Dia Giuseppe Ciuro, il maresciallo del Ros Giorgio Riolo, l’ex maresciallo dei carabinieri Antonio Borzacchelli e deputato all’Ars.

Il processo
Il processo a Cuffaro comincia nella burrasca
. Ancor prima di finire in aula, uno dei pm titolari del fascicolo lascia. Gaetano Paci, infatti, non era d’accordo con la strategia della procura, allora guidata da Piero Grasso, di contestare al governatore il favoreggiamento aggravato dall’agevolazione mafiosa. Perché se al tramite dell’informazione, Mimmo Miceli, veniva contestato il concorso esterno, alla fonte dell’informazione, Cuffaro appunto, non poteva essere accusato di un reato minore. Defezione alla quale si aggiunge quella di Antonino Di Matteo che lascia il processo, dopo averlo istruito, nel dicembre del 2007, dopo la condanna in primo grado di Miceli per concorso esterno. Per lui il capo di imputazione andava rivisto. Ma il processo va avanti, sostenuto dai sostituti procuratori Maurizio De Lucia e Michele Prestipino, coordinati dall’aggiunto Giuseppe Pignatone che interverrà in aula al momento della requisitoria: “Una fotografia di rara nitidezza e di altrettanto rara concretezza di quel particolare fenomeno criminale che viene comunemente indicato con l’espressione ‘intreccio mafia-politica-affari-coperture istituzionali’” dice il magistrato.

Le condanne
Il 18 gennaio 2008 Cuffaro
viene condannato a 5 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Per il tribunale il governatore non ha agevolato l’intera organizzazione Cosa nostra, quindi niente aggravante mafiosa. Il presidente viene contestato dalle forze politiche di opposizione ma incassa la fiducia all’Ars ma, ciò nonostante, si dimette da governatore il 26 gennaio 2008 dopo una forte pressione dell’opinione pubblica che manifesta, con giovani vestiti da ‘cannoli’.  Ma l’aggravante per Cuffaro torna in secondo grado, quando il 23 gennaio 2010 la corte d’Appello del capoluogo siciliano lo condanna a 7 anni, riconoscendo il suo contributo nel favorire Cosa nostra.
Intanto la procura chiede, ottenendolo, il rinvio a giudizio di Cuffaro per concorso esterno, ipotesi di reato con la quale si era aperto l’originario fascicolo sull’ex governatore. Il processo è condotto dai pm Nino Di Matteo e Francesco Del Bene e prende in considerazione tutta la carriera politica di Cuffaro. La difesa chiede il rito abbreviato, ancora in corso di fronte al gup di Palermo, Vittorio Anania. Ma questa è un’altra storia.


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