Una famiglia con la fedina "pulita" | e il contesto mafioso di S. Elisabetta - Live Sicilia

Una famiglia con la fedina “pulita” | e il contesto mafioso di S. Elisabetta

Il bambino ferito. La ricostruzione
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S.L.P., il bimbo ferito, avrebbe vinto la battaglia contro la morte. Sono queste le ultime notizie, che trapelano dai sanitari del Civico di Palermo. Il bimbo, la cui prognosi resta riservata, non è più in pericolo di vita. Un’altra certezza, che trapela dagli investigatori, è quella che il piccolo non è assolutamente imparentato con il boss Salvatore Fragapane, storico capo provincia ad Agrigento, oggi condannato all’ergastolo . Una domanda, però, si staglia limpida nel dolore della vicenda: cosa c’è dietro?

In merito chi investiga non esclude alcuna pista. Se da un lato, infatti, gli investigatori hanno appurato che non ci sono legami di sangue tra la vittima e il mafioso, dall’altro non dimenticano il contesto criminale della cittadina. Tanta mafia a Santa Elisabetta, seppure il comune abbia una conta asfittica di abitanti: 3000 anime o poco più. Da lì, dalla cittadina seminascosta dai monti agrigentini, sono partite strategie criminali, culminate in agguati storici: non da ultimo quello del sottufficiale di polizia penitenziaria Pasquale Di Lorenzo, ucciso nel 1992, da Gerlandino Messina, su ordine del boss Fragapane.

La mafia a Santa Elisabetta è una radice che non si estirpa – secondo indiscrezioni investigative – e questo ultimo fatto, potrebbe esserne una conferma. Eppure da anni non si spargeva sangue, sebbene lì siano cresciuti fiori del male come Salvatore e Stefano Fragapane, ma anche Giuseppe Fanara, che prese parte al gruppo di fuoco che uccise il maresciallo Guazzelli. I parenti del piccolo – la mamma, il papà, i nonni, il fratello maggiore, hanno tutti la fedina penale pulita. La mamma commessa, il papà disoccupato, il fratello studente. Gente normale, tranquilla. Solo lo zio, Carmelo Marotta di trent’anni, che guidava il fuoristrada al centro degli spari, ha un piccolo precedente, per una vicenda passionale.

E la mamma del piccolo non si stanca di ripetere che la mafia non c’entra e che, forse, la vicenda è scaturita da qualche antipatia nei confronti del fratello, “tanto socievole”, come lo definisce, senza rancori, la donna. Al momento le indagini sono affidate a una procura ordinaria, quella di Agrigento – con a capo il procuratore Renato Di Natale e l’aggiunto Ignazio Fonzo – e agli uomini della squadra mobile della città dei Templi – diretti dal vice questore aggiunto Alfonso Iadevaia. La Dda non ha ancora fatto capolino e questo, al momento, lascia presumere che la pista mafiosa non è quella battuta in via principale. Una cosa, però, chi investiga non si stanca di ripetere: “Possiamo dire poco o nulla, ma possiamo dichiarare che ogni traccia, ogni elemento, ogni pista può essere indispensabile”. Ora si cerca nel passato incolpevole del bimbo, ma soprattuto in quello di chi gli stava a fianco. Ogni dettaglio, infatti, potrebbe diventare la chiave per svelare il mistero.


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