Lo sfruttamento dietro il pomodorino - Live Sicilia

Lo sfruttamento dietro il pomodorino

La denuncia della caritas
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Nei giorni della “guerra santa” del pomodorino di Pachino i politici locali hanno, con penna infuocata e lingua affilata, difeso a spada tratta il prodotto locale dalla parola mafia. La proposta di boicottaggio proveniente dal programma “Bontà loro”, targato Maurizio Costanzo, del succulento pomodoro ha scatenato le reazioni indignate di molti. Però pochi politici si sono occupati delle condizioni lavorative dei braccianti agricoli, specie quelli extracomunitari. L’estremo lembo della Sicilia rifornisce di primizie tutti i mercati ortofrutticoli da Latina in su e in particolare a Vittoria, grazie all’avvento alcuni decenni addietro delle colture in serra, si è sviluppata una certa ricchezza. Il fenomeno del lavoro nero nelle campagne ragusane non è strettamente connesso al caporalato, ma ci sono ugualmente situazioni di privazione dei diritti più elementari.

“Sin dagli anni Ottanta – spiega Vincenzo La Monica, redattore regionale del dossier Caritas – si è sviluppata una forte presenza di magrebini in provincia di Ragusa. La mancanza di latifondo non ha fatto sviluppare un fenomeno sistemico e organizzato di caporalato, infatti vista la parcellizzazione delle proprietà i lavoratori contrattano direttamente con il datore di lavoro”. Il rischio, quindi, non è una guerra tra padroni siciliani e lavoratori magrebini. Il rischio è invece una crescente tensione tra etnie. “Negli ultimi anni – prosegue La Monica – il territorio ha conosciuto, grazie all’ingresso della Romania nell’Ue, una forte immigrazione dall’Est. Ciò ha creato una concorrenza con i magrebini: mentre un contratto di lavoro agricolo regolare vale 30-40 euro al giorno, i lavoratori rumeni, sopratutto le donne, lavorano per 15 -20 euro al giorno. Ciò con il consenso tra i proprietari siciliani che tendono a giustificare l’impiego della manodopera irregolare date le difficoltà economiche”.

Si è creata una guerra tra poveri e qualche tensione si è già segnalata in alcune città del ragusano. Ma un dato che lascia poco spazio alle interpretazioni e che ci proietta dentro un universo torbido è quello fornito dal presidio ospedaliero di Vittoria. Infatti sono aumentate le interruzioni di gravidanza in particolare per le lavoratrici migranti, specie romene e polacche, come raccontano i volontari. Solitamente si tratta di braccianti agricole impegnate nella raccolta delle primizie e nell’imballaggio. I sindacalisti del settore, cercando di trovare un nesso, hanno indicato le cause dell’aumento degli aborti negli “straordinari” di natura sessuale delle lavoratrici straniere.
Il lavoro per queste donne è divenuto un circolo vizioso e ricattatorio per il quale le straniere per essere assunte devono talvolta sottostare a ricatti sessuali, spesso non protetti, che portano ad estreme conseguenze, è la denuncia.

A Ragusa la percentuale di manodopera straniera sul totale è del 16,9% e ci sono circa 18mila residenti stranieri, considerando il sommerso possono arrivare anche a superare le 20mila presenze. “Purtroppo – afferma sconsolato il responsabile della Caritas – anche la burocrazia non aiuta la trasparenza e la legalità. Le procedure per assumere un lavoratore straniero, specie se non comunitario, sono lente e complesse, quindi per questo motivo l’imprenditore è quasi spinto verso il lavoro nero”.


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