Tra le ipotesi iniziali|anche il sospetto di una messa in scena - Live Sicilia

Tra le ipotesi iniziali|anche il sospetto di una messa in scena

La scomparsa di De Mauro
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Nelle prime battute dell’inchiesta sulla scomparsa di Mauro De Mauro la polizia ha seguito anche la pista di una “messa in scena”: un finto sequestro organizzato dallo stesso giornalista in una fase professionale “declinante”. L’ipotesi investigativa è sviluppata in un appunto che con altre note “riservate” fa parte del fascicolo di vecchie carte recuperate dalla Digos e consegnate alla corte che processa Totò Riina per l’eliminazione del cronista del giornale L’Ora. Nella relazione del 23 settembre 1970, che segue di una settimana la scomparsa, De Mauro viene impietosamente descritto come una “figura estrosa e spregiudicata”, un giornalista di pochi scrupoli che aveva l’abitudine di ricorrere alla “spettacolarizzazione” e alla drammatizzazione dei fatti. Dalle carte emergono altre informazioni di “fonte confidenziale” in qualche modo riconducibili a una strategia di depistaggio nella quale erano impegnati soprattutto uomini legati ai servizi segreti e che per 40 anni ha oscurato la verità sulla fine del giornalista. Sempre dalle relazioni “riservate” mai portate a conoscenza dei magistrati si apprende che, caduta l’ipotesi della “messa in scena”, si è battuta soprattutto la pista del caso Mattei su cui De Mauro stava lavorando. E più volte vengono chiamati in causa il senatore Graziano Verzotto, all’epoca presidente dell’Ente minerario siciliano, e l’avvocato Vito Guarrasi indicato in alcune cronache del tempo come “mister X”. De Mauro era comunque sotto “osservazione” dell’ufficio politico della Questura sin dagli anni Cinquanta.

Anche le vicende societarie del giornale L’Ora erano oggetto di grande attenzione. Venivano trascurate invece alcune segnalazioni degne di approfondimento come quella di un anonimo che il 23 settembre 1970 accusava Luciano Liggio e i “suoi fidi Totò Riina, Leoluca Bagarella e Bernardo Provenzano”. Solo dopo 40 anni il contenuto di quell’anonimo corrisponde all’impianto del processo in cui è imputato proprio Totò Riina.


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