Un palermitano a Tunisi | per spiegarci cosa sta cambiando - Live Sicilia

Un palermitano a Tunisi | per spiegarci cosa sta cambiando

Alfredo Lo Cicero è un palermitano competente e giramondo che ha seminato progetti e cose concrete in molti posti bisognosi di sviluppo e speranza. Ora è in Tunisia, testimone di cambiamenti che ci riguardano da vicino. Ce li racconta.
Il racconto
di
4 min di lettura

Lo avverti dallo sguardo dei passanti che incontri per strada. Lo avverti dall’umore dei tassisti, vogliosi più che mai di parlare con il turista di turno, raccontare del loro nuovo paese, della primavera politica che stanno attraversando. Questa è la nuova Tunisia. Questo è il racconto di una rivoluzione politica.

Il nome che tutti ripetono è quello di Mohamed Bouazizi, fino al 17 dicembre scorso uno dei tanti venditori ambulanti di Sidi Bouzid, capoluogo dell’omonimo Governatorato, sito al centro della Tunisia, lontano dalle rotte turistiche che da decenni animano la costa. Mohamed un giorno vede confiscato il suo carretto da un fin troppo zelante poliziotto che alle sue proteste decide di rispondere con i due canonici schiaffi che ogni tunisino fino ad allora usava ricevere in caso di protesta pubblica. Ma Mohamed non è un ambulante qualunque. Lui è uno dei tanti diplomati che il regime di Ben Ali, presidente indiscusso da più di 23 anni, ha premiato con l’accesso agli studi, senza però garantire alcun inserimento professionale. Un esercito di giovani disoccupati, tutti diplomati, con la strada per prospettiva. Disperato e senza speranza, il giovane Bouazizi decide di darsi fuoco di fronte alla sede del Governatorato, massima carica pubblica della regione. Da allora un’onda di protesta e di malcontento si abbatte prima sulla regione, e subito dopo su tutto il paese, guadagnando rapidamente la capitale Tunisi.

Per ogni dittatura che si rispetti, anche se camuffata allo sguardo superficiale degli occidentali come realtà democratica e di sviluppo, ogni alzata di scudi,ogni forma di protesta pubblica deve subire lo stesso trattamento. Repressione della piazza e ripristino immediato dell’ordine pubblico. Ma questa volta il popolo è stanco di 23 anni di prepotenze. A tal punto da non fermarsi di fronte alla durezza della polizia e dell’esercito, sceso in piazza a presiedere i luoghi più strategici. Prima masse di studenti universitari, uniti magicamente dal tam tam dei social network più diffusi, poi le associazioni di categoria come gli avvocati ed i sindacalisti, invadono quotidianamente le strade del paese.
Il regime trema ai colpi di slogan della piazza. I richiami del presidente Ben Ali restano inascoltati, mentre profonde fessure emergono tra le gerarchie più alte delle forze militari.

Il 14 gennaio è la data del grande cambiamento. In seguito ad uno sconclusionato discorso del presidente in tv, senza alcun preavviso ed organizzazione premeditata, tutti i tunisini amanti del loro paese scendono in piazza e marciano verso il palazzo, contro il regime. Ben Ali è costretto a far partire in tutta fretta la sua famiglia, e lui stesso decide all’ultimo momento di salire sull’aereo direzione Arabia Saudita per non lasciare solo il più piccolo dei suoi figli. Sarà la mossa che di fatto eviterà un bagno di sangue. L’ulteriore presenza in Tunisia di Ben Ali avrebbe spinto la Guardia Nazionale – sebbene unica forza militare garantista del paese – a tirare sulla folla. Ci piace pensare che il pianto di un bambino abbia di fatto cambiato il destino di un paese. Il pianto di un figlio il cui padre non ha avuto il coraggio di lasciare da solo nel viaggio dell’esilio.

Ma la Tunisia non era solo la dittatura di Ben Ali. Era anche e soprattutto la corruzione della famiglia Trabelsi, unita alle sorti presidenziali da Leila Trabelsi, moglie di seconde nozze del presidente tunisino. Una famiglia capace di insediarsi con metodi a dir poco mafiosi in tutti i settori economici del paese, usando il denaro pubblico come strumento d’accesso all’acquisizione di banche, assicurazioni, compagnie telefoniche, controllo della dogana, distribuzione di beni provenienti dall’estero, opere pubbliche, centri commerciali. Un’economia totalmente deviata a favore dell’arricchimento di due famiglie: i Ben Ali ed i Trabelsi. Mentre il paese affondava nella crisi economica ed i tunisini si trovavano sempre più numerosi nel dramma della disoccupazione.

Gli occidentali l’hanno chiamata la rivoluzione dei gelsomini, per dare un’immagine poetica al grande cambiamento. Ma a Sidi Bouzid non crescono i gelsomini. Troppo arida quella terra. I tunisini la chiamano invece la rivoluzione della dignità, quella calpestata da più di due generazioni, quella che veniva quotidianamente offesa da Tunisi a Tozeur, da Nord a Sud, dal mare al deserto.
Oggi i tunisini si affollano a discutere di democrazia, denunziando un evidente lacuna di valori democratici. Ad oggi sono più di 52 i partiti nati dal 14 gennaio, tra coloro che cercano un percorso nuovo e quelli che invece cercano solo un finanziamento pubblico. Perche anche un partito può dare lavoro.

I dibattiti pubblici ed in televisione affollano le giornate, mentre echeggia senza grande risalto il dramma dei loro concittadini a Lampedusa. Per molti tunisini quelli non sono altro che i detenuti fuggiti dalle prigioni durante la sommossa. Undicimila in tutto dei quali quasi la metà si è arreso alla legge. In effetti il conto torna. Il futuro parla dell’elezione di un’Assemblea Costituente, che una volta eletta a fine luglio dovrà modificare la costituzione, per non permettere più le derive dittatoriali di un presidente troppo potente. E poi le elezioni parlamentari, in data ancora da definire. Con lo spettro dei partiti islamici un tempo tenuti in esilio dallo stesso Ben Ali, e che oggi guadagnano sempre più terreno nei sondaggi televisivi. Lo spettro di un’ennesima deriva che questo paese rischia di intraprendere. Alle porte dell’Europa.

Alfredo Lo Cicero

Ricercatore di Geopolitica all’Università Parigi 8


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