L'importanza di chiamarsi Ruby | Tutte le tappe di una storia siciliana - Live Sicilia

L’importanza di chiamarsi Ruby | Tutte le tappe di una storia siciliana

L'emigrazione e il processo
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Con tutta la pessima volontà, mai potremmo essere talmente osceni da misurare reciprocamente grandezze incomparabili. Non metteremo mai su piatti diversi della stessa bilancia le vite spezzate dei naufraghi di Lampedusa e la vita intera di Kharima in arte Ruby. E’ un espediente anti-berlusconiano cui, purtroppo, molti ricorreranno, forse nel loro cuore, per rafforzarsi in odio e in inimicizia. Di qua i migranti affogati nella notte con le loro braccia tese verso la terraferma di Lampedusa. Di là, il passo sicuro, su tacco a spillo, di una ragazza – vera straniera, falsa nipote di rais – che sa appoggiarsi bene alla superficie che calca. E se inciampa, non cade mai da sola. Pensiamo che il presidente del Consiglio abbia molte e colpevoli responsabilità, nell’elenco dei privilegi che distribuisce e delle disavventure di cui, non solo suo malgrado, è parte attiva oppure omissiva. Ma a Silvio Berlusconi non si può imputare la disparità del destino ingiusto, con le sue correnti a casaccio. In fin dei conti,  è appena un uomo.

Di Ruby scriviamo. A suo modo è la storia siciliana di una donna siciliana. Ci riguarda. Come siciliani. Come persone a tutto tondo. Le ultime notizie sulla nota inchiesta riferiscono che Berlusconi è contumace. Non ci sarà alcuna costituzione di parte civile per Ruby. Si è chiusa con un rinvio al 31 maggio la prima udienza del processo, cosiddetto Ruby-gate, a Milano, che vede il premier sotto accusa per concussione e prostituzione minorile. L’udienza è durata appena cinque minuti. E ha già fatto emergere un particolare importante – recitano le agenzie -: l’avvocato Paola Boccardi, legale di fiducia della ragazza marocchina considerata parte offesa per il reato di prostituzione minorile, ha fatto sapere che la sua assistita non intende costituirsi parte civile. La tesi è molto semplice: “Costituirsi parte civile – ha detto l’avvocato di Ruby – significherebbe ammettere che Ruby si prostituiva ad Arcore”.

Dissolvenza sul tribunale. Dunque, la Sicilia intrecciata con il corpo della ragazza e del reato.  Karima el-Mahroug, in arte Ruby, è fuggita da Letojanni, a Sant’Alessio Siculo sarebbe stato stabilito il contatto fra lei ed Emilio Fede, messinese di nascita,  una delle tre giudici, Orsolina De Cristofaro, proprio da Messina proviene (al magistrato il numero di “S” attualmente in edicola ha dedicato un servizio: gli avvocati del foro di Milano la dipingono come un magistrato “molto preciso, alla quale è difficile che sfugga qualcosa”).
C’è il sospetto che l’impronta siciliana non resti confinata nel recinto geografico, nel pretesto di una notizia. E’ un sapore che cogliamo. Un odore che non si fa fatica a individuare. C’è immancabilmente Sicilia dove sussiste l’ambivalenza di senso in una stessa identità. Non è caratteristica solo nostra, ovvio. Tuttavia, chi meglio di noi conosce la contrapposizione degli opposti che si danno fiera battaglia e convivono nell’uguale campo di scontro. L’esempio più celebre: mafia e antimafia. La Sicilia ha partorito i criminali più scellerati e gli onesti più valorosi. Anche la tragedia di Lampedusa ripropone lo schema. La disperazione sfarina la speranza a pochi chilometri dall’approdo. Dolore e gioia non come momenti successivi di un’esperienza. Da noi sono coniugi nel talamo di una inestricabile contraddizione.

Così anche Kharima-Ruby è siciliana di adozione, sentimenti e letteratura. E’ calata nel suo vestito di carnefice (soprattutto di se stessa) sulla pelle di vittima o viceversa. Appare in un modo o in un altro, a seconda dello sguardo, del momento e del vento. Gli anti-berlusconiani la assolvono alla stregua di una Cappuccetto Rosso nelle grinfie del lupo. I berlusconiani la osservano con malizia e con le braccia conserte. Poi, a ognuna delle categorie, accecata dal daltonismo della militanza politica, resta il dubbio che ci sia un altrove, una faccia di luna inesplorata. E quello che non si vede, proprio perché non si è visto, attira e conturba meglio dell’evidenza.

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