Se tutti vogliono la guerra di mafia - Live Sicilia

Se tutti vogliono la guerra di mafia

Il punto sui delitti
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Finiti i giorni di fuoco? Chi può dirlo. Esattamente una settimana fa spariva il mafioso di Borgo Vecchio Davide Romano, poi scoperto un bagagliaio di automobile. Colpo alla nuca e corpo incaprettato. Un fratello di nome Francesco Paolo ex reggente di mandamento e imprenditore del racket, un padre sciolto nell’acido della lupara bianca perché considerato uno “sbirro”. Solita roba di malavita appunto. Poi si sente dire che l’altro morto ammazzato, quello ritrovato nel giro di 24 ore dal primo omicidio, in via Filippo Tommaso Marinetti, era inserito in affari di droga. Droga più pistolettate più omicidio plurimo, uguale Guerra di mafia, e non si discute. Psicosi collettiva? Paure sensate? Se, come dice Carlo Vizzini, in passato sottovalutare episodi come questi ci ha costretto poi a dover inseguire gli eventi invece di prevenirli, il sospetto è ben accolto. Viviamo in una terra che tende a dimenticare e a fare la pace davanti ad un caffè. E dimenticare porta a sottovalutare, quindi a ricommettere gli errori.

Il problema vero è però capire se di guerra di mafia si tratti e quali siano gli elementi per leggere in questa chiave i recenti avvenimenti, ci sono indagini accuratissime da fare, valutare il clima tra le famiglie, gli ordini impartiti dal carcere. Eppure si da già per scontato che il conflitto sia iniziato. Le maggiori testate nazionali non si sono lasciate sfuggire la ghiotta occasione di accompagnare le foto dei cadaveri rinvenuti a Palermo, titoloni a caratteri cubitali con una verità ormai data per certo. È anche vero che in questi giorni le dichiarazioni dei procuratori antimafia non lasciavano spazio ad altre ipotesi che non raccontassero l’imminente conflitto mafioso, dovuto al riassestamento dei poteri all’interno di Cosa nostra. Ci sono segnali, come il corpo di Davide Romano lasciato in via Titone, zona spartiacque tra i mandamenti di Pagliarelli e Porta Nuova, lo spettro della famiglia di Borgo Vecchio. Poi l’incognita: Nicolò Pecoraro beccato con la pistola in mano sotto casa del genero di “Nino Scintillone”. Unendo i punti può uscire fuori uno spauracchio o il nulla. Può emergere un conflitto generazionale tra i nuovi boss, tutti giovani trentenni rampanti, e quelli della vecchi guardia che mantengono ancora qualche peso all’interno della cupola; o un semplice regolamento di conti per questioni di droga.

C’è chi metterebbe la mano sul fuoco che Cosa nostra siciliana sia ormai agli sgoccioli a livello militare ed economico, scalzata da altre organizzazioni criminali nazionali e c’è chi, come Gioacchino Genchi, ritiene gli arresti e le retate della polizia in questi anni, quasi un bluff a vantaggio dei veri mafiosi ancora oggi potenti come non mai, o al massimo fumo negli occhi. Se però avvenisse il peggio, verrebbe da chiedersi che fine abbia fatto la granitica e comprovata strategia dell’”inabissamento” della mafia, disegnata da Provenzano. Per ora, la domanda che conta è sempre quella: che fine ha fatto Matteo Messina Denaro?


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