Un pomeriggio da invalido - Live Sicilia

Un pomeriggio da invalido

La visita medica, il reportage
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3 min di lettura

Si deve scrivere. E’ la panacea di ogni male. Il turno? Si deve scrivere. La visita? Si deve scrivere. La stanza 18? Si deve scrivere. Vuole una moglie? Si deve scrivere. Preferisce un milione sul conto corrente? Si deve scrivere. Avvertenza. Questo non è un articolo “contro” (sic) l’assessore Russo, peccato mortale di cui saltuari lettori ci accusano. E’ semplicemente la cronaca di un pomeriggio d’attesa, insieme ad altri simili con lo stesso problema. Un focus sociologico di primo acchito.
 Mi hanno dato una macchinetta per le apnee notturne. Sono di corvè al padiglione Biondo dell’Asp, per passare il controllo che mi permetterà di avere alcune agevolazioni minime. Alla notizia, il siciliano parassita che pur alligna parzialmente in me aveva chiesto, speranzoso: “Non è che ci scappa una pensioncina?”. Gelido il dottore: “No, al massimo non paga la macchinetta”.

Giunti nel luogo deputato, un signore con la camicia azzurra – presumibilmente un impiegato in borghese – annuncia la regola aurea: “Si deve scrivere”. Dove. “Là, unni c’è u turnu”. Ed esibisce un foglietto stropicciatissimo, vergato da numerose zampe di gallina. L’altra frase gettonatissima: “E’ la vita”. Lo zio camminava e ora è in sedia a rotelle? E’ la vita. La cognata Rosuccia è ingrassata di trenta chili nelle ultime dodici ore? E’ la vita (larga).

Prima tappa. Una stanzetta in cui si viene convocati per depositare la documentazione. Il signore in camicia azzurra – l’impiegato – è gentilissimo. Disbriga il traffico. Organizza le fotocopie. Ogni tanto filosofeggia: “Io sugnu gentile, però il genere umano non se lo merita”. Bisogna capirlo. L’hanno detto chiaro e tondo: state seduti, vi chiamiamo noi. Ma l’utente siciliano non si fida. In pochi secondi una folla cortese si rapprende davanti alla porticina della stanzetta delle vocazioni.

Dopo un minuto, è già una mischia rugbistica. Ci si divide in gruppi solidali di pressione per empatia e patologia. Uno spiritoso motteggia: “Facemu a danza ri neozelandesi? Accussì si impressionano”. Il vicino di pugna nota il mio pacchetto di giornali e si sgomenta. Pallido domanda: “Li legge tutti?”. Lo rassicuro: guardo solo le figure.
Purtroppo, la convocatrice ha la vocina flebile e non sempre si coglie il suono esatto. Un display, no? A un certo punto, sussurra: “A… osa”. La folla di rimando: “La Rosa?”. Lei incalza: “A..otta”. “Carlotta?”. “C’è Carlooottaaaa?”. Nessuna risposta. La legge marziale della fila prevede che il signor Carlotta o La Rosa venga abbandonato al suo destino: “Cancelli e passi avanti”, è l’intimazione. E’ la dura prassi della giungla.

Pausa. Una signora: “Sono qui per prenotare una visita domiciliare”. Scusi, non poteva telefonare? “Ci ho provato, mi hanno rimproverato: e che siamo in Trentino?” (assessore Russo, se ha la bontà di leggerci, prenda nota). La mischia riprende, crudele, al momento della visita vera e propria. Al passaggio del medico-pubblico ufficiale, l’utente siciliano assiepato tende a dimostrargli un incondizionato affetto. Lo guarda amorevole. Lo seduce. Scondinzola. Secoli di dominazioni, etc, etc… Colloquio preliminare con l’assistente sociale. Lei ha problemi? “Quelli delle persone normali”. La risposta insospettisce l’assistente che comincia a osservare la pratica con interesse, però speriamo che me la cavo. Non c’è nessuno che dia informazioni. Un vecchietto viene adottato in extremis dall’uomo in camicia azzurra (sicuramente un impiegato) che lo guida. Sia benedetto. Mi accolgono con scrupolo. Il dottore è cortese. Legge la documentazione in profondità.

Sipario. Due ore di trafila, poco male, in fondo. Sulle panche decine di cittadini che pagano le tasse. Molti non sanno come comportarsi. Pregano per un cenno benevolo, invece di farsi avanti come sarebbe loro diritto. Sono bambini con le mani nella marmellata, timorosi di ogni potere. Scaccio il pensiero fugace che instilla il dubbio come un grillo parlante, ripetendo il mantra: è colpa nostra, è colpa nostra…  Saluto l’angelo con la camicia azzurra. “Ce ne vorrebbero di impiegati come lei”. Lui, inopinatamente, si scompiscia: “Impiegato? Io sono un volontario, caro signore. Aiuto perché altrimenti non ci spicciamo più. E aspetto, paziente, il mio turno”. In corridoio suono di abbracci e lacrime. Un signore ha riconosciuto un vecchio amico e si è commosso. Solo che l’amico ritrovato ha un male che cancella i volti dalla memoria. Resta indifferente e occhieggia l’uomo che gli fa festa con l’espressione smarrita di un pesce al cospetto della fiocina. E’ la vita.

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