"Perchè in Lombardia non succede?" - Live Sicilia

“Perchè in Lombardia non succede?”

Intervista a Calogero Mannino
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Adesso parla Mannino. Ogni volta che in Sicilia un amministratore o un governatore viene travolto da un’indagine giudiziaria, un orecchio al pulpito dell’ex segretario regionale DC ed ex ministro, lo si butta sempre. Siccome ultimamente la cosa si è fatta sempre più frequente, in pratica Calogero Mannino parla di continuo. D’altronde non potrebbe fare altrimenti, personaggi come Cuffaro, Lombardo ma anche Saverio Romano, li ha visti crescere, si sono formati attorno a lui nell’ambiente della sezione giovanile della Democrazia Cristiana, ma guai a definirlo il loro “padre politico”:  “Vorrei che fossimo – dice lui – corretti nei loro confronti, hanno cominciato la loro esperienza politica con me. Punto e basta”.

D’accordo, faremo attenzione alla correttezza; diciamo allora che costoro hanno proseguito ognuno per la propria strada, sempre senza mai lasciare la politica; hanno fatto carriere diverse ma tutti comunque hanno fatto carriera e, con il loro mentore, traghettatore, maestro, iniziatore, o comunque lo si voglia chiamare, si sono trovati a condividere lo stesso vituperato fardello dell’accusa per mafia.

“Eh sì, è proprio molto strano – dice Calogero Mannino – Eh sì, molto strano – ripete – E’ tutto addirittura in margini oscura ed incerta di questa lunga stagione siciliana, laddove è possibile cogliere le ombre di singolari collaborazioni e singolari trattative.” Mannino sceglie di parlare in democristianese, una lingua inaccessibile a tutti gli estranei allo Scudo crociato. Lo fa ricorrendo ad una frase enigmatica quanto inquietante, una chiusura a riccio con parole suscettibili di accurata interpretazione. In fondo si presta al personaggio e la vicenda politica lo riguarda personalmente: senatore dell’attuale legislatura, eletto nelle liste Udc e poi approdato al Pid, salvo abbandonare anche quello in polemica con Romano il “cavallino” divenuto intanto ministro dell’Agricoltura.

Calogero “Lillo” Mannino nel 2010 chiude definitivamente il suo iter giudiziario iniziato negli anni ’90, quando un’indagine a suo carico per concorso esterno in associazione mafiosa (si ipotizzò un rapporto di tipo elettorale-clientelare con Cosa nostra) lo costringe agli arresti per due anni. Nel 2008 viene assolto nel secondo processo d’appello con la formula “Perché il fatto non sussiste”. La Corte di Cassazione nel gennaio 2010 riconfermerà la sentenza di assoluzione. “Ogni caso è caso a sé – dice Mannino – Non entro nel merito dei singoli procedimenti. Però mi sembra che il concorso di reato associativo sia diventato uno strumento molto agevole e quindi molto usato, al punto da prestarsi al dubbio di utilizzazione politica. Si dà il caso insomma che venga utilizzato anche, oggettivamente, con ricadute politiche. Nessun uomo politico è mai caduto in Lombardia nel concorso di reato associativo, né in Emilia Romagna in reato associativo per fatti di terrorismo, come era possibile avvenisse negli anni ’70. In Sicilia fino ad oggi ci sono stati casi di larga applicazione di questo concorso di reato associativo”. 

Aggiunge: “Vorrei che non si dimenticasse che è un reato giurisprudenziale, non è contemplato nel codice penale. È un reato non reato”. Ma tornando alla vicenda del Presidente della Regione e all’inchiesta Iblis, Mannino afferma: “Come indagato è ancora esposto a una procedura che può avere esiti diversi, mi auguro favorevoli a Lombardo. Quella del rinvio a giudizio è una possibile previsione, ma non è detto che accada. Tutti sanno che sulle conclusioni di questa indagine alla Procura c’è stata una disparità di valutazioni, nel senso che ci sono state delle dichiarazioni esplicite del procuratore uscente, D’Agata, che prevedevano come possibilità prevalente quella dell’archiviazione. Altri del pool hanno avuto invece un’opinione diversa, vedremo quale sarà il punto di conclusione”.

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