Una bara rossa alla scuola dello Zen | Il preside: "Non è roba del quartiere" - Live Sicilia

Una bara rossa alla scuola dello Zen | Il preside: “Non è roba del quartiere”

L'intimidazione
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La maestra Anna racconta: “C’era questo piccolino, il mio preferito. Voleva affetto. Mi passava accanto e mi sfiorava i capelli. Cercava il contatto fisico. L’ho avuto per cinque anni di elementari, ho sperato che si salvasse. L’ultimo giorno di scuola si è avvicinato. Mi ha detto: ‘Mae’, m’arritiro’. Ora spaccia”.
E’ un supplizio di Sisifo il lavoro della maestra Anna alla scuola “Falcone” dello Zen. Portare vite sulla montagna della speranza. Spingerle su con fatica, con dedizione. E vederle precipitare a valle, dentro la fossa comune dei sogni spezzati. Eppure, la maestra continua. Non si arrende. Si schermisce: “Lei mi chiama professoressa. Io sono solo una povera maestrina”. Scherza, Anna? L’esercito dei maestri salverà Palermo, se mai Palermo si salverà.

Stamattina le maestre, i professori e il preside della “Falcone” si sono svegliati con una bara rossa segnata da uno spray sul vetro del plesso delle elementari. Accanto alla bara, una croce e una  “a” di incerta denominazione. Domenico Di Fatta, il dirigente scolastico, mostra cautela: “Non mi pare un segnale del quartiere, è una cosa nuova”. Qui, se vogliono farsi sentire, usano un altro approccio. Rompono. Devastano le aule. Dipingono oscenità artigianali sulle pareti. La bara è concettualmente più sofisticata. Ecco perché il professore Di Fatta scuote la testa e mormora: “Non è un gesto da Zen”. Un professore si arrabbia: “Dovremmo dimetterci in blocco. Come si comporterebbe lo Stato?”.  Indagano i carabinieri.

I gesti da Zen sono altri. Le percosse a un volontario che sta affiggendo un lenzuolo con il celebre motto di Peppino Impastato: “La mafia è una montagna di merda”. Lo scempio canonico di arredi e suppellettili. Questa bara arriva da un pianeta lontano. E’ un brivido a metà tra la noncuranza e l’inquietudine. Potrebbe essere il parto di una mente balorda. Potrebbe essere qualcosa che, al momento, è ignoto, appena presumibile.

La scuola “Falcone” sembra una gigantesca carta moschicida. Dispensa ragionevolezza, sensibilità e cultura. Attira violenza, oscuri presagi e minacce. Ci sono le maestre, un tenero e sparuto esercito, a opporre dolcezza, sperando che il vento cambi. C’è la maestra Anna. Le chiediamo: ma almeno uno è riuscito a salvarlo dalla strada e da un futuro di delinquenza? Risponde in un sussurro: “Non ricordo”. Si fa prima a contare le anime dannate.
Qualcuno, intanto, canta a squarciagola una canzone napoletana, a due passi, in via Girardengo. Sul vetro di una classe un bambino ha disegnato un sole pallido tra le sbarre che proteggono i vetri. E’ un sole carcerato.


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