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Caro Pd, io sto con Lombardo

(di GIUSEPPE ARNONE, pubblicato da EUROPA). Cari Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni, prima di spiegarvi perché difendo il governo Lombardo, mi presento. Il principale tra i pentiti di mafia della mia terra, Maurizio Di Gati, ha ricostruito il timore di Cosa Nostra per la mia eventuale elezione a sindaco di Agrigento, nel 1993, quando persi contro Calogero Sodano per lo zero virgola.
La lettera di Arnone su Europa
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Cari Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni, prima di spiegarvi perché difendo il governo Lombardo, mi presento. Il principale tra i pentiti di mafia della mia terra, Maurizio Di Gati, ha ricostruito il timore di Cosa Nostra per la mia eventuale elezione a sindaco di Agrigento, nel 1993, quando persi contro Calogero Sodano per lo zero virgola. Di Gati riferisce ai pm: «Sentii il Messina lamentarsi di Arnone, un ambientalista candidato a sindaco di Agrigento che era in buona posizione per vincere le elezioni e che non avrebbe consentito di mettere più le mani di Cosa Nostra su Agrigento».

Sono un avvocato impegnato in politica, attivo in Sicilia, nelle piazze e nei tribunali, contro Cosa Nostra e contro i corrotti. Sono anche il principale cassazionista di Legambiente. Ho mandato in galera, tra gli altri, Gunnella, Rendo e Lodigiani per tangenti e abusi. Li ho fatti condannare anche in Cassazione. Nella mia Agrigento, da solo, ho più voti dell’intero nostro Pd. Ho provocato scioglimenti del mio consiglio comunale, arresti e condanne di sindaci e assessori. Ricevo frequentemente minacce e intimidazioni. La più singolare, nel 2008, quando ritrovai, davanti il mio cancello, intatta, l’auto appena rubata al senatore Pd Benedetto Adragna, che condivideva con me la battaglia sul sequestro del cantiere di un centro commerciale in odor di mafia.

Mi sono scontrato, subendo querele e assoluzioni, con molti giudici, ad esempio quel Rino Cirami dell’omonima legge, o Stefano Dambruoso, valorizzato dal leghista Castelli. Oggi sto dalla parte di Raffaele Lombardo, difendo questo governo, secondo molti il migliore che abbia mai avuto la Sicilia. Ritengo il provvedimento della procura di Catania poco comprensibile, distante dagli insegnamenti della Cassazione. Lombardo e il Pd hanno sferrato micidiali colpi agli interessi della mafia, come l’azzeramento dell’enorme affaire dei termovalorizzatori.

Sempre il pentito Di Gati, infatti, racconta le attività di Cosa Nostra per quegli appalti voluti da Cuffaro e dai berlusconiani. Ci sarebbe molto da dire sulla rottura degli equilibri affaristici e filo-mafiosi, a cura del vicepresidente della regione Giosuè Marino, ex prefetto antimafia da noi indicato, o dell’assessore alla sanità Massimo Russo, già pm antimafia. O, ancora, di altri assessori tecnici, come Pier Carmelo Russo in materia di appalti, o Mario Centorrino, nella “palude” della formazione.

Mi limito a ricordare la recente riforma sull’elezione del sindaco: non avremo più l’effetto trascinamento delle liste dei consiglieri, spesso fortemente inquinate anche dalla mafia, che determinavano l’elezione di pessimi sindaci. Da giurista, rilevo alcune anomalie nella vicenda giudiziaria di Lombardo, su cui riflettere. Il capo di imputazione è uno splendido documento giornalistico, ottima prosa da denunzia politica. Ma, secondo i costanti orientamenti della Cassazione, il suo valore giudiziario è molto prossimo allo zero. Cito due decisioni relative al “concorso esterno”, dei giudici antimafia di Palermo e di Caltanissetta.

Palermo archivia l’indagine a carico dell’ex senatore Calogero Sodano il quale, come ricostruiscono i pentiti, per battere Arnone alle elezioni del ’93 si mise a disposizione di Cosa Nostra, chiedendo i voti anche nel ’97 e nel 2001. Prove certe e circostanziate: riunioni dei capicosca per pianificare quella elezione, incontri successivi tra Sodano e i boss. Bene. Il gip di Palermo archivia così: «Dalle concordi dichiarazioni dei collaboratori Di Gati Maurizio e Putrone Luigi, emerge che l’indagato Sodano ebbe rapporti … con esponenti della famiglia mafiosa, in particolare a capo della frazione di Villaseta». Detti rapporti vengono descritti dal gip come «l’accordo con l’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra della famiglia di Agrigento in occasione delle elezioni a sindaco del 1993 e del 1997». Ma poi, così motivando, il gip accoglie la richiesta di archiviazione: «Correttamente, però, il pm rileva che a seguito dei recenti pronunzie delle Sezioni Unite della Cassazione, la prova del concorso esterno nell’associazione mafiosa, nell’ipotesi del cosiddetto patto elettorale, deve raggiungere anche il successivo adempimento del patto da parte del politico e, in particolare, l’efficienza causale della condotta del politico rispetto agli obiettivi dinamico – funzionali dell’associazione. Negli atti trasmessi non si intravede alcuna condotta di questo genere».

Il mastodontico sforzo investigativo dei magistrati di Catania non ci dice quali siano i favori resi a Cosa Nostra da Lombardo. Nessun episodio specifico. Solo presunti contatti, risalenti nel tempo, tra il presidente ed esponenti politici poi risultati vicini a Cosa Nostra, nonché telefonate tra mafiosi che fanno riferimento a Lombardo medesimo, ove ovviamente non è chiaro quale sia la sostanza e quale sia la millanteria.

Si può pacificamente sostenere, quindi, che la magistratura palermitana avrebbe archiviato l’indagine su Lombardo. Un’altra vicenda paradossale è quella che riguarda il capo della cordata interna al nostro partito che, dal momento dell’insediamento di questo governo della regione, si batte per affondarlo: il senatore Mirello Crisafulli.

Leggiamo cosa scrivono i giudici di Caltanissetta a carico di Crisafulli, intercettato mentre parlava con un capomafia appena condannato a 11 anni. Frasi inequivoche, quelle del senatore, del tipo: «…se quell’impresa vuole quell’appalto, deve battere un colpo, e deve batterlo forte», o ancora «ho dato quell’appalto ai fratelli Gulino, gli unici che potevano farlo» o, ancora, impegni a lottizzare appalti e assunzioni, e a concludere accordi elettorali.

La magistratura, nell’archiviare, scrive che «l’indagato appare disponibile … ad addentrarsi con il capomafia nell’area grigia dell’affarismo politico – elettorale, ma in ambedue i casi senza fornire alcun apprezzabile apporto causale ai fini associativi … nell’ambito affaristico non risulta che le richieste del capomafia siano state esaudite … la condotta dell’onorevole può apparire oggettivamente legittimante rispetto al capomafia, e quindi pericolosamente vicina al sottile confine dell’attività penalmente illecita … si deve concludere che non vi sono sufficienti elementi per sostenere che la condotta dell’onorevole indagato abbia arrecato significativa, rilevante utilità al capomafia, al sodalizio criminoso di appartenenza dello stesso o all’intera Cosa Nostra».

Nel formulare la richiesta di rinvio a giudizio a carico di Lombardo, la procura di Catania si è spaccata. Se questa indagine si fosse svolta a Palermo o a Caltanissetta, con i precedenti su Sodano e Crisafulli, o sulla base degli orientamenti della Cassazione, la questione sarebbe già chiusa e discuteremmo di altro.

Noi e Lombardo abbiamo storie diverse, molto diverse. Ma questa alleanza tra diversi ha consentito di mettere alla porta il condannato per mafia Dell’Utri, l’imputato oggi ministro Saverio Romano, il detenuto Cuffaro, l’erede designato di Berlusconi Alfano e altri campioni, quali Miccichè, Firrarello, Castiglione. Ha consentito, per la prima volta, di avere un governo della regione che gente come me poteva solo sognarsi, ha consentito di fare riforme inimmaginabili. Oggi, piuttosto che delegare automaticamente scelte politiche a provvedimenti embrionali e discutibili di alcuni giudici, esaminiamo seriamente le cose fatte e quelle da fare.

Giuseppe Arnone


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