La crisi del sogno riformista - Live Sicilia

La crisi del sogno riformista

Cosa ci dice la finanziaria
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Forse perché ormai si è cucito addosso il ruolo di voce che grida nel deserto. Forse perché ci crede. Di fatto, Davide Faraone – nel corso del lungo dibattito per la Finanziaria – ha indicato la nudità del re. Il giovane deputato del Pd, da tempo in rotta più o meno scoperta con gli interessi della sua bottega, ha accusato il suo universo di riferimento. Ha illuminato i nodi problematici di una asfittica maggioranza parlamentare che ha partorito una aspra manovra di compromessi al ribasso. Ha sfatato l’immagine di un governo che suonò le trombe del neo-riformismo e che adesso ascolta le campane a morto del proprio immobilismo. Non siamo più capaci di volare alto – questo un pezzo del discorso di Faraone – perché allora stare insieme? Già, perché stare insieme, considerando i rinnovati e moltiplicabili malpancisti del Pd, che profilano un eventuale capolinea? Perché, se lo stesso Lino Leanza (Mpa) invoca il distacco della spina, in mancanza di progressi tangibili?

Conosciamo tutti i peccati originali del progetto di Lombardo e della compagine di deputati che lo sostiene. Il doppio tuffo capovolto, il sostegno di un partito che riteneva il lombardismo “l’altra faccia del cuffarismo”. Ai guasti iniziali si è aggiunta una pesante inchiesta a carico del titolare della giunta. Si è sovrapposto il crollo tra la gente del Pd, anticipato dalle sincere chiacchiere nei bar e certificato dai sondaggi. Ma non sono i peccati originali mai riscattati, né è l’inchiesta “Iblis” a marchiare la delusione di tanti. Ci pare di assistere alla fine di un sogno, per invisibilità politica strutturale. Circostanza grave per chi l’ha sognato. Il sogno riformista, seguito dai siciliani in buonafede (dei faziosi non ci occupiamo), desiderosi di riscattare il destino di una terra irredenta. Ora sembra chiaro – a chi aveva gli occhi chiusi e a chi li ha tenuti aperti – che il sogno è in crisi.

D’accordo. Questo parlamento e questo governo hanno affrontato un crocevia epocale difficilissimo. E molti altri ci avrebbero lasciato le penne, se non materialmente, almeno come immagine: nello spettacolo offerto al popolo. Non è semplice far quadrare i conti con i chiari di luna attuali e un governo nazionale ostile al limite del sabotaggio. L’assessore Gaetano Armao è un tecnico competente. Molte volte è successo di trovarsi in posizioni differenti e lui si sarà magari adirato. Tuttavia, chi scrive gli riconosce un atteggiamento di ricerca del meglio e del necessario. Adesso, all’ennesima resa dei conti, ci appare stridente il contrasto tra le promesse e le cose. E non c’entra Armao che ha tentato di salvare la barca disperatamente. Qui si chiama in causa una vicenda complessiva, attraversata e compressa dagli interessi di soggetti troppo diversi, che si è accreditata come salvifica, risolutrice, assoluta e che ha dovuto fare i conti con le stesse logiche di minimo cabotaggio dei regni precedenti. Non siamo noi i critici solitari dell’andazzo. Diversi interventi dei parlamentari del Pd hanno scavalcato in furore gli strali del Pdl. La storia che abbiamo sotto gli occhi non è stata in grado – checché ne dica la sua propaganda – di offrire una netta linea di discontinuità. E’ un certificato di morte. O, se preferite una similitudine meno lugubre: di impazzimento della maionese.

Le fragilità, datate, sono sotto gli occhi di tutti. Gli incidenti di percorso hanno sfiorato il grottesco. C’è il caso dei due Russo. Il primo in ordine di citazione (Massimo) è inciampato in una serie di guai procedurali, sicuramente in buonafede. Le recenti polemiche rappresentano gli ultimi segni sulla pelle del suo assessorato. La famosa riforma della Sanità, al momento, è al palo. Darà tra qualche tempo mirabili risultati, lo auspichiamo sinceramente. In questo sabato è una soluzione che ha scontentato parecchi utenti e quasi tutti gli operatori del settore. Il biglietto da visita del “buon governo” Lombardo si sta mostrando un espediente logoro. L’altro (Pier Carmelo), nonostante la propensione a una discreta impalpabilità, anche se qualche polemicuzza l’ha affrontata, ha infine ceduto di schianto, fiaccato da una tensione che l’ha consegnato al battibecco impotente e alla dichiarazione pugnace.

Il rito della manovra economica è stato poi il sunto delle contraddizioni fin qui tracciate. Un dibattito parlamentare rissoso, a tratti indecente. Una dialettica agra e i soliti accordi nelle segrete stanze. Il parto? “Un topolino”, per ammissione diffusa. Pungola Davide Faraone: “Dobbiamo fare altro”. Il sogno è sul crinale dell’incubo. Non si sa che cosa sia questo mitico “altro”. Non si sa se ci sia ancora il tempo per farlo. L’interrogativo di sottofondo è addirittura sconvolgente: è possibile governare la Sicilia, con la trasparenza, la lealtà e l’assenza di clientele delle democrazie avanzate? Guardando i volti nell’Aula, ascoltando interventi vacui, calibrati tra la retorica e il cinismo, la risposta (per colpa di tutti, nessuno escluso) vira decisamente verso lo sconforto. Ha ragione il pidino De Benedictis, rivendicando un soprassalto di dignità parlamentare: “Nessuno può andare fiero di niente”.


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