Tutte le tappe del caso Fragalà - Live Sicilia

Tutte le tappe del caso Fragalà

La cronologia
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Quello di Marzia è un appello straziante alla giustizia e alla verità, perché a distanza di oltre un anno, sotto il casco integrale dell’uomo di grossa corporatura che il 23 febbraio scorso le strappò il padre per sempre, non c’è volto. Nemmeno della mente che lo ha armato. Più di tutto la indigna una città, una comunità, ma soprattutto una stampa che si vorrebbe scossa da un impeto di collera, schiacciata invece da un silenzio prudente o peggio indifferente, come se essere massacrati a bastonate in mezzo alla strada, fosse regolare routine in una Palermo in mano ai violenti senza riscatto e senza rimedio.

Il delitto di Fragalà, Enzo come amavano chiamarlo i tanti amici, è una matassa intricata e fitta. Questa cronologia delle indagini svolte dei magistrati Nino Di Matteo, Carlo Lenzi e Maurizio Scalia, più qualche curiosità, fa il punto della situazione fino a questo momento.

“Il cliente insoddisfatto”
Le prime indagini, inizialmente partite a carico di ignoti, portano il 3 marzo 2010, sulla spinta delle descrizioni fornite da alcuni testimoni oculari, ad iscrivere nel registro degli indagati un 50enne ex buttafuori in una sala bingo e impiegato nella profumeria della compagna. L’uomo, dopo l’arresto per detenzione illegale di un fucile con la matricola abrasa, aveva nominato Fragalà come suo legale. L’avvocati però non riuscì ad evitargli la condanna. C’è un indagato e c’è un movente, nella sua abitazione vengono sequestrati alcuni vestiti, delle scarpe, un casco integrale e un bastone di rattan utilizzato per gli allenamenti di arti marziali. A causa di tali rilievi di natura “irripetibile”, al commerciante viene notificato un avviso di garanzia per consentirgli di nominare un legale e un consulente che assistano alle operazioni tecniche. Ma nessuno dei testimoni riconosce nel viso dell’indagato mostrato in foto, l’aggressore visto quella notte. Infine l’8 marzo i risultati del RIS di Messina scagionano l’indagato: le analisi effettuate sulle tracce ematiche (invisibili ad occhio nudo) e di sudore rinvenute sulle scarpe e sul bastone di rattan, anche in DNA della goccia di sangue sulle scarpe non è compatibile con quello della vittima.

La pista mafiosa
Solo poche ore dopo l’uscita di scena del cinquantenne, il 9 marzo 2010 spunta il nome di un altro sospettato: 31 anni, palermitano con precedenti penali alle spalle e ritenuto vicino alla famiglia mafiosa di Porta Nuova. Il suo nome viene fuori da numerose lettere anonime recapitate in procura e anche per lui l’avviso di garanzia scatta unicamente per la cosiddetta irripetibilità degli atti di sopralluogo e ispezione compiti dalla polizia giudiziaria, come previsto dal codice di procedura penale, dai quali potrebbe derivare un danneggiamento o una distruzione irrimediabile delle prove. A ulteriore conferma della natura di “atto dovuto” per quanto riguarda l’iscrizione del ragazzo nel registro degli indagati, giungono le parole caute degli inquirenti che così dimostrano di non avere materiale sufficiente per procedere con sicurezza su questa pista investigativa, considerata solo una delle tante al vaglio. Si dovrà aspettare un anno intero, il 19 aprile 2011, per apprendere l’archiviazione di questo secondo indagato. Durante tutto questo periodo nessun segnale era arrivato dagli interrogatori in carcere, i mafiosi ascoltati non avevano rivendicato l’omicidio, ma si dichiaravano totalmente estranei alla vicenda.

Traffico di droga
14 dicembre 2010. Cercando tra le ultime cause trattate dal penalista, gli investigatori passano al vaglio un processo per un traffico internazionale di cocaina che vedeva imputato Matteo Bologna, originario di Partinico, presunto trafficante e capo di un’organizzazione che gestiva il traffico della droga fra la Germania, l’Olanda, il Belgio e la Sicilia. L’indagine scaturisce dai retroscena rivelati da un ex socio di Bologna, sugli affari legati alla polvere bianca. Il teste ha raccontato che il suo ex legale avrebbe ricevuto due telefonate dallo studio di Fragalà, nelle quali probabilmente si chiedeva di ritrattare. Successivamente il testimone, intanto finito ai domiciliari, avrebbe ricevuto la visita di due uomini che l’avrebbero minacciato accusandolo di avere tradito Bologna. A quel punto lui avrebbe scritto una lettera all’imputato confermando tutte le accuse a suo carico. La missiva, che conteneva dettagli precisi sul traffico di droga e sul ruolo di Bologna, venne depositata agli atti del processo da Fragalà, appunto, un mese prima che questi venisse ucciso.

L’inchiesta sulla cava di Pasquasia
Sarà il giornalista catanese Antonio Condorelli insieme a Rosario Sardella, in questa gelatina di incertezze a fornire una nuova chiave di lettura al delitto irrisolto: la cava di Pasquasia. Gallina dalle uova d’oro per la Italkali, che la gestiva, venne chiusa nel 1992 dai magistrati di Enna. Alla vicenda si aggiunsero le dichiarazioni del pentito Leonardo Messina che la descrissero come centro di smaltimento rifiuti atomici importati dall’Est Europa, ad uso e consumo di Cosa Nostra. Sembra che Enzo Fragalà se ne fosse occupato attivamente. Il 22 febbraio 2011 i carabinieri dell’Arma di Palermo si recano a Catania per interrogare il cronista, poco dopo l’inchiesta giornalistica arriva sul tavolo del pool di magistrati che si occupa dell’omicidio.

La Commissione Mitrokhin e le indagini sull’eversione rossa
Per descrivere con una parola Enzo Fragalà basterebbe dire passione politica. Da parlamentare di AN aveva partecipato attivamente alla Commissione Stragi e in seguito alla Mitrokhin presieduta da Paolo Guzzanti. Livesicilia, anche grazie alle interviste rilasciate dall’ex presidente della commissione e dell’avvocato Luciano Randazzo ha approfondito il lavoro svolto su questo fronte. Sembrerebbe infatti che nel corso delle sue indagini, Fragalà avesse scoperto la cosiddetta “etero direzione” del terrorismo rosso internazionale, in particolare di quello italiano. Secondo tali conclusioni, le Brigate Rosse altro non sarebbero state se non un’agenzia del KGB, alle dipendenze dell’organizzazione terroristica internazionale “Separat” di Ilich Ramìrez Sanchez conosciuto come Carlos lo Sciacallo, rispondendo a una strategia di destabilizzazione dell’Occidente in periodo di Guerra Fredda. Ad assicurare l’impunità agli eversori italiani, una struttura sotterranea finanziata anche da alta borghesia e intellighenzia. Per Guzzanti e Randazzo, il delitto ha una sola spiegazione: Fragalà sapeva troppo.

La figlia Marzia interrogata dai pm
L’inchiesta dopo l’archiviazione delle posizioni delle due persone inizialmente indagate torna a carico di ignoti. Il 17 giugno 2011 viene convocata in Procura la figlia del penalista ucciso, Marzia Fragalà, interrogata su alcuni elementi scoperti recentemente dagli investigatori.

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