"Paesan Blues", la parola alla difesa - Live Sicilia

“Paesan Blues”, la parola alla difesa

Avvocati compatti nella richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto. La posizione dei difensori di Girolamo Rao (rappresentato da Jimmy D’Azzò), Gioacchino Corso (difeso da Michele Giovinco) e Pietro Pilo (difeso da Francesco Marasà) è quella della totale estraneità degli imputati alle accuse. Il processo è una tranche dell’inchiesta “Paesan Blues” (ne avevamo parlato nel dossier allegato al numero di S uscito il 26 aprile dell’anno scorso). Il 10 marzo 2010 agenti della Squadra mobile di Palermo e dell’Fbi arrestarono 27 persone, demolendo l’ambizioso tentativo del clan di Santa Maria di Gesù di riprendere il potere a Palermo. I boss siciliani stavano riallacciando i rapporti con gli scappati in America per sfuggire al massacro firmato dai Corleonesi di Totò Riina. Al centro del dibattimento c’è un viaggio in Calabria, datato 23 giugno 2009.

Secondo l’accusa, Giuseppe Lo Bocchiaro, Pietro Pilo e Gioacchino Corso erano partiti da Palermo per rifornirsi di hashish da smerciare a Palermo e nel Nisseno. L’avvocato Franco Marasà però non ci sta: “Che senso avrebbe avuto per il mio assistito Pietro Pilo, con delle condanne per associazione mafiosa alle spalle, buttarsi in questo traffico con l’altissima probabilità di essere identificato? Non è escluso – continua l’avvocato – un suo coinvolgimento in atti illeciti, ma sicuramente non quelli caldeggiati dalla pubblica accusa”. Difensori concordi: la banda di mafiosi che spacciava droga non è mai esistita. Estraneo alle vicende, secondo l’avvocato Jimmy d’Azzò, sarebbe Girolamo Rao, detto Mimmo, e per il quale l’accusa ha chiesto 11 anni di reclusione. In alcune intercettazioni ambientali si sente Rao parlare con mafiosi impegnati a caricare hashish una macchina. Per il legale della difesa, invece, a scagionarlo sarebbero le dichiarazioni del pentito Di Maio, secondo cui Rao, non era autorizzato a presenziare alle riunione dei mafiosi. Avrebbe avuto solo la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato quando i presunti boss di Santa Maria di Gesù si davano appuntamento nel suo negozio di via Maqueda.


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