"Non sono un mostro | E lo dimostrerò" - Live Sicilia

“Non sono un mostro | E lo dimostrerò”

Vitrano a Livesicilia. Esclusiva
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5 min di lettura

La casa di Gaspare Vitrano è in una strada dalla pendenza micidiale. Decine e decine di persone sfidano la legge di gravità pur di stargli attorno nel giorno della scarcerazione. L’ex deputato regionale del Pd è un uomo libero. Dovrà, però, trasferirsi lontano dalla Sicilia. Ha scelto Roma. Lontano da Misilmeri, il paese del Palermitano che gli ha dimostrato affetto. Sempre e comunque. Prima con le valanghe di voti. Oggi con il viavai davanti alla sua abitazione. Strana la vita. Vitrano è stato beccato con una busta piena di soldi sulla scala dell’azienda sanitaria provinciale di Palermo. Oggi, accetta di parlare nel pianerottolo di casa di un amico. Due sedie, lontano dalla folla. E una scala, appunto, dietro le spalle. Beccato l’11 marzo scorso con i soldi che l’accusa definisce “tangente”. Ed è finito in carcere con l’accusa di concussione. Trentaquattro giorni in cella. Poi, i domiciliari.

Cominciamo dalla sua esperienza in carcere.
“Il carcere è devastante. Per tutti, non solo per me. Non sei né vivo né morto. Sei uno zombie che vaga senza sapere neppure cosa ti aspetta. Fortunatamente c’è la solidarietà dei detenuti, forte come in nessun’altra categoria”.

Talmente devastante da meditare il suicidio? E’ circolata la notizia che lei volesse farla finita
“E’ stato uno sfogo con i pubblici ministeri. Gli ho detto che ad un uomo a cui succede quello che è successo a me non resta altro che ammazzarsi”.

Solo uno sfogo?
“Ogni detenuto pensa al suicidio. Io come gli altri. Mi creda, i lavori forzati erano stati una conquista di civiltà”.

Dove ha trovato la forza per reagire?
“Nella fede. E nelle lettere degli amici che mi hanno scritto”.

Torniamo al giorno dell’arresto. In flagranza di reato con la busta dei soldi in mano.Ammetta che ci sono tutti gli estremi per dire che l’hanno beccata con le mani nella marmellata.
“Sapevo che l’imprenditore doveva dare dei soldi a Ingrassia per la società che avevamo. Non era né una tangente né altro. Era un accordo di lavoro. Alcune frasi sono state male interpretate”.

Tipo?
“La frase registrata in cui si sente “ci vediamo lunedì” non sono io a pronunciarla. Lo hanno scritto gli stessi poliziotti ai pubblici ministeri. Ed invece sembrava che io dessi appuntamento all’imprenditore per incassare il resto dei soldi. L’imprenditore, io neppure lo conosco”.

E la storia dei prestanome? Se tutto era regolare perché decidere di intestare le società a persone di Misilmeri a lei vicine?
“Volevo evitare che scoppiassero polemiche. Era già avvenuto per un altro deputato che aveva fatto un affare simile a suo nome”.

Affari, di che cifre parliamo, visto che lei ha messo a verbale di avare preso solo gli spiccioli?
“E lo confermo. Ingrassia mi disse che doveva comprare casa. Bonomo (Mario, altro deputato chiamato in causa nella vicenda ndr) che aveva problemi economici e mi chiesero, per il momento, di non prendere soldi”.

Ok, ma l’affare nel suo complesso a quanto ammontava?
“Non so bene la cifra. Lo stesso Ingrassia dice che non mi occupavo di soldi. Comunque, circa sei o settecento mila euro ciascuno”.

Tornando ai prestanome. Non è rammaricato di averli coinvolti in tutta questa storia?
“Ho un grande senso di colpa, ma mi hanno già perdonato. Anche perché conoscevano il fine dell’operazione fotovoltaico”.

E cioè?
“Non mi va di dirlo. Non l’ho detto neppure ai magistrati per evitare strumentalizzazioni”.

Insisto
“Prima dell’arresto era già stato firmato l’atto di costituzione per una struttura”.

In Sicilia? Una cosa di beneficenza?
“Lontano dalla Sicilia. La prego, però. Non voglio strumentalizzazioni”.

Dunque, lei non ha intascato tangenti
“Assolutamente no”.

Ingrassia sostiene il contrario. Perché dovrebbe mentire?
“Lo chieda a lui. Che nel primo e secondo interrogatorio ha dato versioni diverse. Eravamo soci”.

Insisto, perché dovrebbe mentire tirandola pesantemente in ballo?
“Forse perché così i soldi restavano tutti a lui e per accreditarsi come vittima di un sistema che non c’è. Mi sono fatto delle idee ma le tengo per me”.

Motivi di rancore verso Ingrassia o Bonomo?
“Le mie idee cristiane mi portano a non provare sentimenti di rancore”.

Come vive l’attesa del processo immediato?
“Serenamente. Non ho commesso alcun reato di concussione. E il mio avvocato (Vincenzo Lo Re ndr), lo dimostrerà”.

Ha fiducia nella giustizia?
“Ho la speranza che si lavori per cercare la verità e non un colpevole”.

Il mostro di turno, magari il politico con la mazzetta in tasca. Come lei, insomma?
“Troppo facile. Dimostreremo che non è così”.

Una curiosità, che ci faceva all’Asp il giorno dell’arresto?
“C’era in ballo la possibilità che chiudessero alcuni presidi in provincia ed ero andato a informarmi. Io sono uno che si adopera per il territorio. E’ quello che un politico deve fare. Pensi che sarei dovuto andare alla messa officiata dal cardinale. Ero convinto di farcela”.

Già la politica, un’esperienza finita per lei?
“Adesso devo ricostruire l’uomo, la politica viene dopo. La ritenevo un servizio da rendere alla gente, ma ci sono tanti altri modi per servire l’uomo. D’altra parte non volevo certo fare politica per tutta la vita. Avevo già programmato di abbandonare la politica per fare altro”.

Magari nella struttura di cui ha parlato sopra.
“Non ci riprovi. Preferisco tacere”.

Ha ricevuto telefonate di solidarietà dai suoi ex colleghi politici.
“Ho cambiato i miei numeri. In pochi conoscono quelli privati. Il primo a chiamarmi è stato Genovese (Francantonio, ndr)”.

Il giudice le ha imposto l’obbligo di dimora in Sicilia. Dove andrà?
Ho l’aereo per domani alle undici e mezza. Per i primi giorni sarò ospite dei salesiani. Poi, troverà una sistemazione”.

Lontano dalla sua Misilmeri sarà dura?
“Per un attimo ho pensato di rinunciare. Di restare ai domiciliari. Ho i genitori anziani. Poi mi sono detto che non poteva che farmi bene”.

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