L'importanza di chiamarsi Riina | "Con Totò parliamo con gli occhi..." - Live Sicilia

L’importanza di chiamarsi Riina | “Con Totò parliamo con gli occhi…”

Il cognome conta. Specie in Cosa nostra. Se sei un Riina hai le carte in regola per comandare. E così Gaetano, il settantottenne fratello di Totò, è diventato il garante dei due pronipoti, e nuovi reggenti della mafia corleonese, Giuseppe Grizzaffi, 33 anni, figlio di una sorella dei Riina, e il cognato Alessandro Correnti, 39 anni. Comandavano loro a Corleone. E non solo, viso che lo zio Tano Riina da anni viveva a Mazara del Vallo, in provincia di Trapani. Terra di Matteo Messina Denaro, dove ha taglieggiato diversi commercianti. Tutti e tre sono finiti in carcere. Qui si trovava già Giovanni Durante, a cui è stato notificato un ordine di arresto per il solo reato di concorso in estorsione.

Correnti e Griffazzi avevano il delicato ruolo di tenere la cassa del mandamento. Delicato per via della stagione di magra che li costringeva a tirare la cinghia. E le dazioni di denaro ai parenti dei capimafia era sempre meno generosa. Persino Ninetta Bagarella, la moglie del capo dei capi, che di certo non è l’ultima arrivata, aveva ragione di protestare. Il 4 maggio 2007, durante un colloquio nel carcere di Sulmona, confidava al figlio Giuseppe Salvatore che “il signor Giuseppe (Grizzaffi ndr) è venuto da me a Natale… per i fatti suoi è venuto però… non è che è venuto per dare notizie e cose… e non venuto più”. Grizzaffi non godeva di grande stima. Il vizio dell’alcol lo aveva messo in cattiva luce. “Quello si ubriaca, mamma”, le ricordava Giuseppe Salvatore. Lo scettro, però, è un fatto dinastico. E per evitare di toglierlo a Giuseppe Grizzaffi, figlio dell’ex reggente Giovanni, sposato con una delle sorelle Riina, gli era stato affiancato il più morigerato Correnti. Accanto a lui, c’era il grande vecchio: Gaetano Riina, mai arrestato e fino a ieri solo sorvegliato speciale. Il suo nome è saltato fuori a più riprese, sin dagli anni Settanta, ma è sempre riuscito a farla franca. Gia nel ’92 i pentiti Giuseppe Marchese, Gaspare Mutolo e Francesco Di Carlo lo indicavano come affiliato alla famiglia. Lui ha scelto il basso profilo.

Innanzitutto si era defilato trasferendosi a Mazara del Vallo. Praticamente a casa di Messia Denaro, storico e fedele alleato dei corleonesi. Lontano dagli occhi ma non dal cuore, visto che del fratello Totò, seppellito in carcere dal ’93, parlando con un amico in macchina, diceva: “Io non intendo abbandonarlo perché è mio fratello. A colloquio che cazzo ci vai a dire… gli devi dire siamo di buona salute… con gli occhi, parliamo con gli occhi”. Le sue parole erano una feroce critica ai boss, o presunti tali, che parlavano troppo durate le visite in carcere. Pur se defilato a Mazara, Gaetano Riina non aveva potuto e voluto disinteressarsi della natia Corleone. E così, quando la nuova mafia viene sparigliata dai carabinieri con l’operazione Perseo, lui risponde presente. Non gradiva molto l’operato di Rosario Lo Bue, capo a Corleone, assolto nel 2010 perché dichiarate nulle le intercettazioni che lo inchiodavano come capo. Riina confidava a Durante che Lo Bue non gli piaceva affatto anche, e soprattutto, per la sua vicinanza a Gregorio Agrigento e Gaspare Di Maggio, indicati come capi a San Giusepep Jato, ma imparentati con il pentito Giuseppe Monticciolo: “… ma tu hai a che fare con persone… se tu sa che in questa famiglia c’è un che è a contatto con gli sbirri… che ha fatto condannare i miei nipoti… che cazzo ci incontri?”.

Quando venne il giorno di discutere della nuova mafia, siamo a dicembre del 2008, c’è anche lui fra i presenti alla riunione di Bagheria, convocata dal capomafia Pino Scaduto. Tre mesi prima, aveva già timbrato il cartellino ad uno dei vertici più importanti della storia della Cosa nostra dei nostri giorni. Il 2 settembre si incontrano Alessandro Correnti, esponenti mafiosi Corleone e San Giuseppe Jato, e Franco Luppino, in rappresentanza della mafia trapanese. Luppino, arrestato un anno e mezzo fa, è stato per lungo tempo il portavoce di Messina Denaro. L’esito del vertice lo conosciamo attraverso le intercettazioni successive. Il 3 settembre Riina confidava al carrozziere marsalese Luigi Mangiano, figlio di Domenico Mangione, che si era dovuto confrontare con “teste moderne” sui confini dei mandamenti di Corleone e San Giuseppe Jato. La geografia c’entrava davvero poco. Valevano più i vecchi, e mai sperati, dictat di Totò Riina. “Mi sono venuti a prendere… quello mio nipote… – diceva Gaetano Riina – devo essere presente al discorso… con queste teste moderne non ci si può discutere… io gli ho detto che il confine è quello dell’albero di là, e per me rimane tale. E’ tale… perché gli h detto se non così gli ho detto fare voi. Gli ho detto però io vedo più lontano di quanto vedete voi altri”. Lo Bue stava avallando le modifiche: “… tu stai incoraggiando a queste persone.. tu ti assumi la responsabilità”. In ballo c’era la riscossione del pizzo. Altri particolari vengono aggiunti dalle parole, sempre intercettate, di Correnti: “Lo zio Tano ha dovuto parlare con Luppino, diceva parlate con Luppino e ve l’andate a discutere con lui… è meglio non averci niente con questo”. Riina godeva dell’appoggio di Luppino e dunque di Messina Denaro. Un asse troppo forte per essere contrastato. E così Lo Bue dovette fare un passo indietro. “Lo sbaglio lo hai fatto tu ed entro quindici giorni lo devi andare ad aggiustare hai capito?”, gli avrebbe detto Riina. La faccenda confini era una questione di principio. E di piccioli. Quelli del pizzo da incassare. Un fronte su cui Riina era molto impegnato.


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