"Quel paziente trattato | alla stregua di una merce" - Live Sicilia

“Quel paziente trattato | alla stregua di una merce”

La denuncia del medico sindacalista
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“Dal punto di vista scientifico il Tad non è un farmaco che salva la vita, non rientra tra i farmaci assolutamente complementari al trattamento del tumore, come per esempio l’albumina. Ma è anche vero che non si muore di tumore, ma di complicazioni”. Risponde così Renato Costa, medico internista al Policlinico di Palermo e segretario generale Cgil Medici, alle nostre domande sull’importanza del disintossicante negato nella vicenda della clinica Latteri. “La sua somministrazione – dice Costa – avrebbe aiutato a sopportare meglio gli effetti della chemioterapia”.

Non sembra poco. Specialmente se si parla di tumore al colon o di tumore e basta. E di chemioterapia. E poi se ci si accosta alle parole “qualcosa che può aiutare a sopportare meglio”. “Il Tad è infatti un farmaco che io per primo prescrivo, perchè credo all’efficacia del suo principio attivo, ma credo che la cosa più importante della vicenda sia l’aspetto etico – denuncia Costa -. Balza agli occhi come il paziente oggi in questo contesto sia trattato alla stregua di merce su cui ricavare profitto”. La vicenda sotto i riflettori è sempre quella che è saltata fuori grazie alle microspie piazzate dai carabinieri del Nas nel settembre del 2009. La clinica Latteri è presa dal ciclone mediatico forse, ma gli interrogativi che si aprono vanno al di là dei cancelli di via Cordova.

Renato Costa fa una riflessione sugli “imprenditori della sanità”: “Come facciamo a sorprenderci?”- si chiede. “Gli imprenditori sono obbligatoriamente tentati al risparmio. Più c’è risparmio più c’è profitto. Poi, certamente chi è dotato di una maggiore moralità non pensa ai costi del malato. La soluzione è quella di favorire al massimo il servizio pubblico dove gli aspetti di lucro non esistono perchè l’unica finalità dell’ospedale pubblico è la risposta al bisogno di servizio. Bisognerebbe migliorare la qualità dei controlli – conclude – e non dal punto di vista economico ma della qualità, quantità e appropriatezza delle cure. Nessuno si preoccupa di controllare se le cure sono adeguate. C’è un’anarchia assoluta. Forse questa potrebbe essere l’occasione di ricordarci di occuparcene”.


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