Lettera a un sindaco | sulla città di Palermo - Live Sicilia

Lettera a un sindaco | sulla città di Palermo

La provocazione
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Caro Sindaco,

Di bizzarria in bizzarria, potrei scrivere questa lettera al Gatto con gli stivali, al marchese del grillo, al visconte di Bragelonne, al barone di Munchausen, al borgomastro di nzocché. Essendo un presunto cittadino palermitano, la mando direttamente al sindaco di Palermo. Cioè a lei. Cioè, Diego Cammarata. Le sue ultime dichiarazioni hanno suscitato sommesse perplessità. Invero bizzarre apparvero ai più. Lei ha parlato di straordinari risultati, di soddisfazione, di gioia. E allora sto sbagliando io. Noi. Tutti sbagliamo e sul serio. Forse noi – che scriviamo al sindaco di Palermo – non viviamo a Palermo. Per questo mi sono addossato l’aggettivo “presunto”. Forse è un’illusione. Uno spirito venne di notte a prenderci sotto le braccia per adagiarci in un incubo che chiamiamo Palermo, che indichiamo come Palermo. E che evidentemente non è Palermo. Perciò io d’ora in poi mi riferirò a questa citta che immaginiamo, colti da pazzia, col nome di Palermo impossibile.

La vera Palermo – come dice lei, Sindaco, e perché dubitarne? – la inorgoglisce. La mia Palermo impossibile inizia all’alba. La bellezza del risveglio in un sole d’ottobre che altri non potrebbero permettersi dura un attimo. Poi è solo pianto e stridore di gengive (i denti li conserviamo per giorni migliori, quando ci sarà qualcosa da addentare). Capisco che raccontarLe di traffico è la quintessenza della banalità. Ma vorrei invitarla comunque – Sindaco Cammarata – nella mia Palermo impossibile, lungo una strada impossibilmente intitolata via Sciuti. Alle nove pare già di nuotare in un sacchetto di riso sottovuoto, tale è la calca che pervade ogni millimetro di asfalto.

Se non piove l’immobilità è un destino felice. Se piove si creano i presupposti per una sorta di battaglia di Lepanto in spettacolare revival. Si tratta di decidere con chi stare. Se abbracciare la mezzaluna o la croce. Aderendo al vessillo più acconcio, la pugna è servita. Si arriva, in un nugolo di agguati, a destinazione, con istinti delittuosi sviluppatissimi e nevrosi da decennale psicanalisi.  Giunti fin lì, il posteggio è una dolcissima chimera. I più invadono la doppia fila, le strisce, i passaggi per disabili. Alcuni – gli sfortunati – incrociano sguardo e dialettica con un vigile buontempone che proprio quel mattino si è impuntato su un esercizio abolito da tempo nella Palermo impossibile: il rispetto delle regole. Multa assicurata e benedizioni copiose al primo cittadino del nostro incubo parallelo. Chi mai sarà?

Caro Sindaco, comprendo appieno il lineamento schifiltoso del suo volto e la fronte corrugata, anche se non la vedo. Questo qui mi parla di traffico, argomento che nella Palermo vera, l’unica che conti, abbiamo brillantemente risolto. Cos’è, un provocatore? Comprendo e umilmente mi scuso. Vuole sentire, allora, le storie dei miei poveri che dormono sotto le stelle e adesso fa freddo? Vuole ascoltare, per innalzare il tono drammatico, le tremende favole dell’handicap deriso e straziato? Vuole chinarsi sul profilo di un mondo in necrosi? A mille ce n’è. Prema il pulsante e orecchi la fiaba che le piace di più.
Caro Sindaco, ha ragione, ho sbagliato a scriverle, ora che ci penso. Lei è il Sindaco della Palermo reale. Io sono il cittadino sfigato della Palermo impossibile, frutto di uno spettro o della mia follia. Scriverò al barone di Munchausen. Meglio: a don Chisciotte, domani. Tra matti ci intenderemo. E ci consoleremo. Lei, Caro Sindaco, si diletti con i suoi bellissimi mulini a vento.

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