Forconi, proteste, scaffali vuoti| Le responsabilità della malapolitica - Live Sicilia

Forconi, proteste, scaffali vuoti| Le responsabilità della malapolitica

LO SPECIALE DELLA DOMENICA
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Gli scaffali dei supermarket vuoti, i distributori senza più benzina, il mercato nero dei bidoni di super. La Sicilia in stato d’assedio, una gigantesca Sarajevo asserragliata. L’hanno chiamata rivoluzione, scomodando il ricordo dei Vespri. C’è la mafia dietro, o almeno in mezzo, hanno insinuato gli industriali. È una protesta spontanea le cui ragioni, condivisibili, vanno comprese, ha blandito il grosso della politica. Già, la politica. Che nella folle vicenda dei forconi ha giocato un ruolo, forse non compreso fino in fondo, che non si limita a quello dell’incapace e impotente spettatore, o dell’ultrà spregiudicato, che monta sul treno della protesta dispensando carezze a chi tiene in ostaggio cinque milioni di siciliani.

No, il ruolo della politica, in questa vicenda, non si esaurisce qui. Perché qualsiasi cosa si pensi della protesta di forconi & C. (e chi scrive, non ne pensa troppo bene), le responsabilità della politica, anzi, di quel che resta della politica, in questa vicenda sono enormi. La politica è responsabile per non aver saputo prevenire quanto accade in questi giorni, per non aver dato risposte alle istanze di quanti, esasperati, protestano, ma soprattutto per aver lasciato a secco di speranza un Paese, che oggi è impaurito, adirato, avvilito. Una polveriera pronta a esplodere, una bomba che la politica, o almeno quel che resta della politica, non ha saputo disinnescare. Anzi. L’arretratezza e lo stato di bisogno eterno di intere fasce sociali è stata coltivata da una certa politica, che ha foraggiato e continua a foraggiare clientele con uno sperpero osceno di denaro pubblico perso in spese improduttive. Un disastro che ha diffuso la convinzione che la politica, questa politica, non serva più a niente e a nessuno, se non ai politici stessi.

Ma non solo. C’è un’altra e più specifica responsabilità della malapolitica nei fatti di questi giorni. E sta nell’ormai consolidato atteggiamento di dare credito e udienza a chi sceglie di protestare oltrepassando il limite, calpestando le norme fondamentali della civile convivenza e ammantando di sopruso quelle che possono essere anche legittime rivendicazioni. Blocchi una strada e paralizzi una città? Rovesci dieci cassonetti e li incendi? Poni in stato d’assedio una regione intera? Ecco che prontamente il Palazzo, che magari fino al giorno prima aveva ignorato e snobbato le tue richieste d’ascolto, s’accorge di te, ti chiama, ti parla, ti accredita. Senza nemmeno prendersi la briga di chiederti, come condicio sine qua non per un dialogo, di interrompere eccessi e abusi. Un atteggiamento, questo della politica, o di ciò che ne rimane, del tutto irresponsabile, che trasmette un messaggio desolante: è così che si fa, se vuoi essere ascoltato.

Da questo incubo, però, non può salvare l’antipolitica del masaniello di turno, che coagula la legittima rabbia di tanti colori e umori, senza incanalarla in nulla che possa costruire, ma solo in una cieca furia distruttrice. Da questo incubo in cui la politica, soprattutto la politica, ci ha fatto piombare, solo una cosa può salvarci. La politica stessa. La politica vera. A Roma, i politici di professione, hanno issato bandiera bianca. Delegando ai tecnici il compito di riesumare il senso della politica, di assumere decisioni, sagge o impopolari che siano. Ma il commissariamento non può essere permanente. E allora non resta che prendere atto che c’è una classe dirigente da azzerare, salvando il poco salvabile. E che più che un forcone, per riuscirci, servirà la scheda elettorale.


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