La chewing gum e l'accusa di abusi | La testimonianza di una ragazza - Live Sicilia

La chewing gum e l’accusa di abusi | La testimonianza di una ragazza

Avevo visto questo signore dal fioraio e mi ha sorriso. Il giorno dopo l’ho visto davanti la farmacia. Si è presentato e mi ha offerto una chewing gum. Io ho rifiutato. Poi, il giorno dopo ancora, mentre tornavo a casa l’ho visto davanti un garage con dentro delle moto. Lui mi ha chiesto: ‘Lo vuoi vedere questo motore’. Io ho detto sì, sono entrata e sono salita sulla moto. Lui si è seduto dietro di me e ha cominciato a toccarmi. Mi ha toccato il seno e mi ha messo le mani nei pantaloni. Io gli ho dato una gomitata e sono scappata via”.

La testimonianza agghiacciante è di una ragazza che ha riferito oggi in aula il presunto abuso subito da un uomo sette anni fa circa, il 21 aprile 2005. Il fatto, denunciato alla polizia il giorno dopo, è accaduto a Palermo, nel quartiere Uditore. La ragazzina, allora aveva 13 anni, è tornata a casa. In lacrime ha raccontato tutto alla sorella. La madre aveva capito che qualcosa non andava, così si è fiondata nella stanza delle figlie, ha fatto spogliare la ragazzina e analizzato la sua biancheria intima, per capire se vi fosse liquido seminale.

Ma, dal verbale stilato dalla polizia, molte cose sono in contrasto con quanto la ragazza racconta ai giudici della quinta sezione penale del tribunale di Palermo. A queste contestazioni si affida il difensore dell’imputato. La ragazza, infatti, ha detto che l’imputato non c’entrava niente, ma ha spiegato in aula che era un modo perché la madre non gli si “appicicasse”. “Avevo paura – ha spiegato la ragazza – ma nella mia biancheria per fortuna non c’era niente”. L’esame del testimone, nonché parte offesa, diventa una vera e propria sofferenza, per quanto la ragazza riesca a mantenere la calma.

Il racconto, fatto più volte, alterna le sue fasi. I tre episodi legati all’imputato – l’incontro dal fioraio, quello alla farmacia e quello nel garage delle moto – cambiano sequenza ogni volta che la ragazza torna sul racconto. Quando torna con la mente al fattaccio al garage, si tocca il gomito, chiude gli occhi e dice: “Mi ha afferrato”. Non si comprende se la ragazza sia entrata per sua volontà o sia stata costretta. “Sono passati sette anni, e non è facile…” si giustifica la ragazza prima di lasciare il banco alla madre, dopo un esame durato quasi un’ora.

Per la madre delle ragazza, invece, non ci sono dubbi. “Mi bruciava il cuore, mi stava scoppiando – ha detto a proposito della reazione seguita al racconto della figlia – la polizia diceva di non essere in grado di identificarlo allora sono andata io stessa a cercarlo. Sono andata in piazza a Uditore, sono entrato dentro un bar e ho chiesto di (…) nessuno mi ha saputo rispondere. Poi sono entrate due persone e hanno detto: ‘Come non sapete chi è (…)’ e mi indicano dove trovarlo. Sono stata appostata lì per tre giorni, fino a quando non l’ho visto arrivare e l’ho afferrato. Me l’hanno levato dalle mani due giovanotti. ‘Quelli come te sono indegni’ gli ho detto, ‘hai fatto male a mia figlia’. Allora i due ragazzi l’hanno preso chiedendogli di cosa stessi parlando”.

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