Padre Turturro, ricorso in Cassazione: | "Ecco le incongruenze del processo" - Live Sicilia

Padre Turturro, ricorso in Cassazione: | “Ecco le incongruenze del processo”

Il sacerdote condannato per pedofilia
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Un processo celebrato male e che per questo merita di essere annullato. I legali di padre Paolo Turturro, condannato a sei anni e mezzo per pedofilia, fanno ricorso in Cassazione. Chiedono ai supremi giudici di cancellare la condanna perché, scrivono gli avvocati Ninni Reina e Vincenzo Gervasi, “tutta la motivazione della sentenza è un esempio di pensiero circolare che parte dall’assunto, tutto da dimostrare, che i minori siano stati realmente abusati, per poi giustificare le incoerenze dei loro racconti, le macroscopiche illogicità, i mancati riscontri oggettivi e le smentite di altri testi, con il ricorso a presunti meccanismi psicologici relativi all’esperienza traumatica subita dai minori che li porta a raccontare “incredibili fantasticherie” ed “episodi oggettivamente inverosimili”. Come dire, se il bimbo è stato abusato è normale che il suo successivo raccontato sia turbato dall’esperienza vissuta. Nulla di più falso per la difesa, secondo cui “i racconti dei minore si prestano a non poche osservazioni che ne mettono seriamente in discussione l’attendibilità”.

La quarta sezione della corte d’appello ha confermato la sentenza nell’ottobre scorso. Sei anni e mezzo e l’interdizione dai pubblici uffici. L’accusa, pedofilia, è di quelle infamanti per tutti, figuriamoci per un prete. Un prete antimafia che per il suo impegno contro i boss di Palermo era finito sotto scorta. Le accuse per l’ex parroco della chiesa Santa Lucia al Borgo Vecchio sono arrivate dai bambini del quartiere. Alcuni in aula ritrattarono, due di loro puntarono di nuovo il dito contro il sacerdote. Due ragazzini tra i dieci e dodici anni dissero di essere stati vittima, fra il 2000 e il 2001, delle attenzioni morbose di padre Tuturro, nei corridoi della parrocchia e nella colonia di Baucina dove ha sede l’associazione “Dipingi la pace”.

Una ricostruzione che i legali proveranno a smontare. Punto per punto. Nel ricorso in Cassazione snocciolano alcuni esempi. Una delle due presunte vittime ha raccontato che padre Turturro lo baciava sulla bocca. I legali si chiedono “come possa essere ritenuto logico e coerente il racconto di un minore che dichiara di essere baciato in bocca dal sacerdote cento volte al giorno ed in punti appartati. E’ valutazione che rimettiamo al comune senso della logica”. Ed ancora: la giovane vittima ha riferito di avere raccontato degli abusi subiti a due poliziotti che, a suo dire, avrebbero commentato, usando un appellativo di scherno, i gusti sessuali di padre Turturro. La Corte d’appello su questo punto ha scritto nella motivazione che “un adulto, per evidente superficialità, e con l’intento di minimizzare la vicenda, si fosse limitato ad appellare negativamente il sacerdote, senza prendere i provvedimenti necessari, in particolare, da parte dei rappresentati delle forze dell’ordine”. Una spiegazione che i legali non mandano giù: “Come dire, rientra nella logica comune che un minore di otto anni confidi a rappresentanti delle forze dell’ordine abusi sessuali patiti ad opera di un sacerdote, e, questi, non solo non si attivano come loro compete, ma addirittura appellano negativamente il sacerdote”.

Incongruenze ci sarebbero pure nella parte in cui la vittima ha ricostruito i luoghi degli abusi: “Agli insegnanti disse che si erano verificati all’interno della parrocchia, mentre ai familiari – madre, sorella e nonna – risulta aver affermato essere avvenuti a Baucina, località ove il sacerdote era solito portare i minori della parrocchia nel fine settimana”. Una incongruenza non valutata della Corte d’appello che, ricordano i due legali, lo ha “illogicamente relegato a frutto di un errore mnemonico connesso comunque alla gita a Baucina”. Infine il tema più delicato, quello della completezza del rapporto sessuale a cui sarebbe stato costretto uno dei due bambini. Secondo i difensori di padre Paolo Turturro, non ci sono le prove mediche delle lesioni, come hanno stabilito i periti”. Anche su questo punto si erano espressi i giudici di secondo grado: “E’ pur vero che la persona offesa ha parlato di penetrazione e di spinte, alludendo – scrissero nella motivazione delle condanna – ad una penetrazione completa, ma è verosimile ritenere che la stessa non si fosse ben resa conto di quanto le stesse effettivamente accadendo, trattandosi di una esperienza traumatica soprattutto se vissuta dal minore”.


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