"Ha offerto il tesoro della sua vita" - Live Sicilia

“Ha offerto il tesoro della sua vita”

Funerali nella chiesa madre di Termini Imerese per Francesco Paolo Messineo, uno dei militari morti in Afghanistan. Ecco l'omelia del cardinale Paolo Romeo.
Il militare palermitano morto
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Certo, ci sono eventi e momenti della vita in cui si preferirebbe il silenzio, quello stesso silenzio della Vergine Maria ai piedi della Croce, il silenzio denso di una testimonianza chiara e lucente, e che è discreta vicinanza delle persone care, che è condivisione di sentimenti e di fede e che – lo sappiamo per esperienza – tante volte ci ha sostenuto nei momenti difficili della nostra vita. Ci ritroviamo insieme non come uomini e donne che vogliono dire qualcosa dinanzi alla tragicità della morte, ma come comunità orante, che accompagna con la preghiera il viaggio importante e decisivo di Francesco che entra nella casa del Padre e giunge a contemplare il volto di Dio faccia a faccia.

D’altra parte chi potrà mai dire qualcosa del mistero della morte che si intreccia con la vita? Chi potrà mai avere parole che diano spiegazioni esaurienti e che, soprattutto, restituiscano pace? Il mistero della morte ci colpirà sempre per l’evidenza dei fatti ma noi non riusciremo mai a comprenderlo. Ci viene chiesto di far silenzio, di tacere. O forse, meglio, di ascoltare, di far spazio all’Unico che può dire qualcosa sulla morte perché l’ha attraversata e vinta: Gesù Cristo. Sì! Non riusciremo mai a spiegare e comprendere, e per questo siamo invitati ad ascoltare ciò che la nostra fede ci trasmette, e cioè la certezza che al calare della sera sulla nostra giornata terrena si dischiudono gli orizzonti dell’Eternità beata, della comunione piena con Dio. Nel silenzio di chi sta di fronte al mistero, di chi riesce a vedere solo il freddo e l’immobilità, siamo invitati a guardare oltre, perché non ci sono parole umane che spiegano e che consolano, ma solo una Parola che viene da Dio: Francesco è vivente, dinanzi a Dio, alla sua luce, alla sua pace.

E se noi siamo qui in preghiera, è perché desideriamo ardentemente che possa occupare, senza tardare, dopo aver conosciuto l’abbraccio misericordioso di Dio Padre, il posto che Cristo ha preparato per lui, come per ciascuno di noi, un posto che è la giusta ricompensa di quella vita nuova vissuta nella fede di Cristo, incarnata nel pensare e nell’agire del nostro quotidiano.  La stupenda pagina di S. Paolo ci ha ricordato che tutti siamo stati inseriti nel mistero di Cristo nel giorno del Battesimo, in quella comunione ecclesiale nella quale si è sviluppata l’unica vocazione alla santità, far vivere Cristo nella nostra vita secondo quanto lo stesso San Paolo ci dice “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Francesco ha ricevuto nel Battesimo quella stessa fede che afferma che il suo corpo risorgerà, e che non sarà una semplice ricostituzione della sua fisicità, una restituzione dell’essere, ma la pienezza della vita, quella stessa per la quale Cristo è venuto e ha offerto se stesso in sacrificio sulla Croce: “sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.” (Gv 10,10). Il nostro Dio, il Dio in cui crediamo per la nostra fede, è un Dio della vita. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Tutto dice morte, in questo momento. Ma la nostra fede si ostina ad annunciare vita, speranza, pace! La nostra fede ci porta a vedere oltre la vita biologica, guardando all’unica relazione, quella con Dio, che nulla potrà mai spezzare.

Non conoscevo personalmente Francesco. Ma, dalla testimonianza di quanti me ne hanno parlato, so che era un giovane pieno di vita, di doni, di capacità. Un giovane che annunciava la bellezza della vita, con la sua intraprendenza e nella quotidianità della propria determinazione a costruirsi un futuro e ad assumersi le responsabilità di un vero uomo. Un giovane sano che continuava a credere nel suo futuro. E che aveva fatto di tutto per costruirlo con tanta buona volontà, intraprendendo la via militare, scommettendo sulle missioni all’estero come occasione di crescita e di servizio, non come fuga dalla realtà ma come assunzione di un dovere nella maturità. Come tutti noi – così ci ricorda San Paolo – Francesco ha portato “questo tesoro in vasi di creta” (cf. 2Cor 4,7) , potenzialità e futuro entro un presente fragile e spesso sconnesso, segnato dalle nostre infedeltà, dalle nostre incoerenze, sempre bisognoso dell’azione di Dio nella nostra vita. Il tesoro della sua vita Francesco lo stava investendo un servizio alla pace in Afghanistan. Un servizio importante che gli faceva offrire la sua giovinezza, il suo tesoro appunto, in una missione che comportava certo dei rischi, ma che era importante compiere con diligenza e spirito di sacrificio.

Bisognerebbe ricordarsi spesso di tutti i nostri uomini e le nostre donne che, pur in mezzo al silenzio dei media, ma con zelo costante, garantiscono una presenza di riferimento e di ordine in terre profondamente travagliate, che non possiamo ritenere estranee alla comunità internazionale. Bisognerebbe ricordarsi più spesso del loro contributo per aprire un avvenire migliori per fratelli e sorelle che non si conoscono, ma che sono ugualmente figli di Dio come noi. Come tante altre volte, Francesco stava dando il suo contributo, nell’uscita sul quel “Lince” italiano che conosceva bene. Come richiedeva il suo ruolo in logistica, insieme ai suoi compagni, che vogliamo ricordare con altrettanta commozione, stava andando a prestar soccorso ad altri compagni, ma l’incidente ha sorpreso il mezzo. Un tragico incidente nel quale si sono chiuse le pagine del libro della sua vita terrena. La nostra mente si perde molteplici interrogativi, ma soprattutto sui tanti ed insistenti “Perché”… Perché quella frana? Perché quella morte? Perché niente e nessuno ha potuto evitare una simile sciagura? E soprattutto: perché Dio ha permesso tutto ciò? Ma è fecondo porsi queste domande? O piuttosto è più fecondo cambiare prospettiva? Occorre piuttosto che ci domandiamo qualcosa di diverso: il Dio della vita e della resurrezione cosa vuole comunicarci attraverso questo evento?

Abbiamo sentito nella pagina del Vangelo che è stato proclamato, tutto il dolore di Marta e Maria, le due sorelle di Betania che piangono il fratello Lazzaro. La loro casa, come questa chiesa madre, si è riempita del dolore di familiari, amici e conoscenti e anche Gesù manifesta il suo dolore con un pianto commosso. Nella nostra dimensione umana non possiamo non piangere e non sentire il dolore, un dolore profondo che certamente è unico e irripetibile per i familiari, ma che ci abbraccia tutti e tutti ci fa stringere attorno a questa famiglia, già provata dal dolore nel suo passato. Ma, da uomini e donne di fede, così come lo stesso brano evangelico ci annuncia, guardiamo a ciò che Gesù vuole dirci, attraverso le parole dette a Marta: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?” (Gv 11, 25-27). Anche a noi il Signore chiede: “Credi questo?”. In questo tragico evento, il Signore insiste sulla necessità che ci si affidi maggiormente alla sua Parola, che nella nostra quotidianità percorriamo i suoi sentieri, consapevoli della precarietà e della provvisorietà della nostra vita che è suo dono – e per questo bisogna rendergli grazie – ma che non appartiene a noi stessi, che “al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca” (Sal 90, 6).

“Io sono la risurrezione e la vita… Credi questo?” (cf Gv 11, 25-27). Dio continua a nutrire una profonda predilezione per l’uomo, e gli offre la chance della fede che lo apre ad una vita piena e vera, eterna e feconda. Anche se Gesù non riporta adesso in vita il nostro Francesco, dalla sua Parola abbiamo la garanzia che, nonostante le apparenze, la vita di Francesco “non è tolta, ma trasformata, e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo” (Prefazio I dei Defunti): il Signore ha orientato l’uomo, quest’uomo fragile e piccolo, alla gioia senza fine e alla vita piena anche oltre questo corpo mortale. Don Pino Puglisi, sacerdote che si è speso al servizio della causa del Vangelo, “a tempo pieno”, come amava spesso dire, non ci invitava ad attendere le soluzioni dall’esterno, ma a fornire sempre e comunque il nostro contributo alla realtà e al suo cammino. Per questo diceva: “Se ognuno fa qualcosa, allora possiamo fare molto”. E spesso questa frase veniva riportata con i puntini di sospensione, quasi a lasciare in quei puntini il tratto che ognuno può mettere, il contributo che ognuno può dare in modo responsabile.

Ecco: Francesco ha fatto “qualcosa”, e lo ha fatto con criterio e senso del dovere. Dobbiamo essere orgogliosi di quanti ci offrono quotidianamente queste testimonianze, e, con senso di responsabilità, dobbiamo ricevere la loro lezione e la loro eredità, dobbiamo sentirci spronati a fare anche noi qualcosa. Certamente piangiamo con dolore la morte di un figlio di questa Città, e questo sconforto e questa amarezza ci vengono testimoniate soprattutto dai giovani, attraverso tante pagine di facebook piene di messaggi e riflessioni. Ma, anche a loro voglio dire che, pur nella tragicità dell’evento, Dio apre uno squarcio di luce e ci permette di vedere tutta una vita dove, al di là del vaso di creta e delle umane fragilità per le quali chiediamo a lui il perdono, Francesco ha portato un grande tesoro: quello di esser figlio di questa Patria, figlio di questa terra di Sicilia, con le fede e i valori che hanno contribuito a fare di lui un grande uomo.

Questa eredità non è soltanto il conservare memoria di un “operatore di pace”. Piuttosto è un impegno che ci sprona tutti ad un più serio servizio della pace, della pacifica convivenza, del rispetto della dignità umana: un servizio che apra cammini concreti che possano squarciare orizzonti di speranza di un mondo più giusto, più fraterno, più solidale. Caro Francesco, ricevendo questa eredità nella tua semplice testimonianza, la tua vita, strappata alla nostra vista, diventa ancora più vicina: significa qualcosa per tutti noi, e noi non possiamo che dirti grazie per quello che sei stato e per quello che hai fatto. Dio Padre misericordioso ti accolga nella gloria del cielo, e dopo aver perdonato le colpe che ciascuno di noi nel cammino terreno commette, ti inviti ad occupare quel posto che è stato preparato per te, dicendoti: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25,21).


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