Via D'Amelio, nuovi arresti | "Borsellino contro la trattativa" - Live Sicilia

Via D’Amelio, nuovi arresti | “Borsellino contro la trattativa”

La svolta. "Il giudice era un ostacolo"
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La Dia ha eseguito un’ordinanza di custodia del Gip di Caltanissetta per tre indagati nella nuova inchiesta sulla strage di Via D’Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Riguarda uno dei presunti mandanti, il boss Salvatore Madonia, e due esecutori, Vittorio Tutino e Salvatore Vitale.

C’è anche il ‘pentito’ Calogero Pulci tra i destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare Il collaboratore di giustizia è stato arrestato dalla Dia per calunnia aggravata per le sue false dichiarazioni del processo ‘Borsellino-bis’.

Il provvedimento è stato notificato dalla Dia in carcere a Madonia e Tutino, perché già detenuti, e nella casa di cura in cui è ricoverato agli arresti domiciliari per gravi patologie a Vitale. L’ordinanza scaturisce dall’inchiesta aperta dalla Procura nissena sulle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza che ha portato alla revisione dei processi ‘Borsellino’ e ‘Borsellino-bis’ davanti la Corte d’appello di Catania. Lo stesso pentito è indagato, cosi’ come Madonia, Tutino e Vitale, per strage aggravata.

Il giudice Paolo Borsellino fu ucciso dalla mafia, il 19 luglio del 1992 in Via D’Amelio, assieme a cinque agenti di polizia della sua scorta perché il boss Totò Riina lo riteneva un ”ostacolo” alla trattativa con esponenti delle istituzioni, che gli ”sembrava essere arrivata su un binario morto” e che per questo il boss dei boss voleva ”rivitalizzare” con la stagione delle stragi. E’ la ricostruzione dell’attentato fatta dal Gip di Caltanissetta Alessandra Bonaventura Giunta, accogliendo le richieste della Dda della Procura di Caltanissetta, nella nuova inchiesta che è sfociata nelle ordinanze eseguite dalla Dia sulla strage.

”La tempistica della strage – scrive il giudice – è stata certamente influenzata dall’esistenza e dall’evoluzione della così detta trattativa tra uomini delle Istituzioni e Cosa nostra”’. Per la Procura dalle indagini è ”risultato che della trattativa era stato informato anche il dott. Borsellino il 28 giugno del 1992. Quest’ultimo elemento – osservano i Pm – aggiunge un ulteriore tassello all’ipotesi dell’esistenza di un collegamento tra la conoscenza della trattativa da parte di Borsellino, la sua percezione quale ‘ostacolo’ da parte di Riina e la conseguente accelerazione della esecuzione della strage”. Secondo la Procura di Caltanissetta, ”questa conclusione è legittimata, tra l’altro, dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Giovanni Brusca a proposito dell’ordine ricevuto da Salvatore Riina di sospendere, nel giugno 1992, l’esecuzione dell’attentato omicidiario nei confronti dell’on. Calogero Mannino perché c’era una vicenda più urgente da risolvere”.

Mannino, ex ministro democristiano e segretario della Dc siciliana, è stato di recente iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Palermo nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa, per ipotetiche pressioni che avrebbe esercitato all’epoca delle stragi per un ammorbidimento del regime carcerario del 41 bis.

I coinvolti
Sono cinque le persone destinatarie del provvedimento emesso dal Gip di Caltanissetta, su richiesta della Dda della locale Procura, nell’ambito della nuova inchiesta sulla strage del 19 luglio del 1992, in via D’Amelio a Palermo, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina e Eddi Walter Cusina. Salvatore Madonia, 56 anni, già detenuto, è accusato di essere il mandante in qualità di componente della commissione provinciale di Cosa nostra di Palermo, presieduta da Totò Riina. In questo ruolo avrebbe partecipato a quella tenutasi tra il novembre e il 13 dicembre del 1991 in cui Cosa nostra avrebbe deliberato l’esecuzione di un programma stragista che prevedeva, tra l’altro, l’uccisione, con un attentato del giudice Paolo Borsellino. Il pentito Gaspare Spatuzza, 48 anni, Vittorio Tutino, 46, e Salvatore Vitale, 66, sono accusati, come ha ricostruito lo stesso collaboratore di giustizia, di essere tra gli esecutori materiali della strage.

Nell’azione avrebbero avuto un ruolo anche tre persone che sono state già giudicate (Cristoforo Cannella, Lorenzo Tinnirello e Francesco Travaglia), un’altra per cui si procede separatamente (Fabio Tranchina) ed altri appartenenti al mandamento di Brancaccio. Secondo l’accusa Spatuzza e Tutino avrebbero rubato la Fiat 126 usata poi come autobomba e procurato due batterie e un’antenna necessari per alimentare e collegare i dispositivi destinati a fare brillare l’esplosivo collocato nell’auto. Vitale sarebbe stato l’informatore del clan, fornendo al gruppo indicazioni indispensabili sulla presenza e le abitudini del giudice Paolo Borsellimo, aiutato dal fatto di abitare in un appartamento al piano terra dello stesso edificio di via Mariano D’Amelio, e avrebbe facilitato il posteggio dell’autobomba davanti l’ingresso dello stabile. I quattro sono indagati per strage aggravata continuata in concorso e di fabbricazione, porto e detenzione di esplosivo.

Nell’inchiesta anche l’ex boss di Sommatino ed ex collaboratore di giustizia Calogero Pulci che è accusato di calunnia aggravata. Secondo la tesi della Procura di Caltanissetta, accolta dal Gip nisseno, nel corso dell’esame dibattimentale, in grado d’apello, del processo ‘Borsellino-bis’ per la strage di via D’Amelio, accusò falsamente Gaetano Murana, pur sapendolo innocente, di avere partecipato alle fasi esecutive dell’attentato, rifendo che, durante un colloquio in carcere, Murana gli avrebbe detto che “il lavoro l’abbiamo fatto noi della Guadagna”, facendo condannare l’imputato all’ergastolo. Tra gli indagati, per favoreggiamento aggravato, c’é pure Maurizio Costa, un meccanico di 57 anni, accusato di avere mentito sull’incarico ricevuto da Gaspare Spatuzza di riparare l’impianto frenante della Fiat 126 che sarebbe stata utilizzata come autobomba in via D’Amelio. Nei suoi confronti la Procura aveva chiesto l’emissione di un ordine di carcerazione, ma il Gip ha ritenuto che non esistano i requisiti. A Costa, tra l’altro, è contestato anche l’avere riferito a soggetti gravitanti vicini al mandamento di Brancaccio, appena rientrato a Palermo da Caltanissetta, del suo interrogatorio davanti ai magistrati della Dda della Procura nissena. Le indagini della Dia sono state coordinate dal procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lepri, dagli aggiunti Amedeo Bertone e Domenico Gozzo, e dai sostituti della Direzione distrattuale antimafia Nicolò Marino, Gabriele Paci e Stefano Luciani.

(fonte ANSA)


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