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Resa dei conti nel Pdl

È bastato il primo sole palermitano per squagliare il Pdl. Un partito che oggi somiglia tanto a uno di quei carri armati in miniatura amati (ormai tanti anni fa) dai bambini. Una riproduzione in scala, insomma, di quella che fu la “macchina da guerra” del sessantuno a zero. Ma anche di quel sistema che ha portato in braccio, fino alla poltrona di Villa Niscemi, un giovane candidato sindaco come Diego Cammarata, tenendolo lì per dieci anni.

VIAGGIO NEI PARTITI
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È bastato il primo sole palermitano per squagliare il Pdl. Un partito che oggi somiglia tanto a uno di quei carri armati in miniatura amati (ormai tanti anni fa) dai bambini. Una riproduzione in scala, insomma, di quella che fu la “macchina da guerra” del sessantuno a zero. Ma anche di quel sistema che ha portato in braccio, fino alla poltrona di Villa Niscemi, un giovane candidato sindaco come Diego Cammarata, tenendolo lì per dieci anni.

Ecco, dopo dieci anni (e dopo un lustro dall’ultima vincente affermazione), la riedizione di quel tentativo, seppur nella versione geneticamente modificata incarnata da Massimo Costa, non è riuscita. Una classica crisi di rigetto, per un organo che non fa parte di quel corpo. Un corpo, del resto, già sofferente da tempo.

Oggi tutti attaccano tutti. Gli ex fedeli di Cammarata, contro chi allora era un po’ ai margini, i politici vicini a Cascio, e quelli che pensano, forse, che il presidente dell’Ars questa debacle se l’è un po’ cercata col suo rifiuto a scendere in campo. Un rifiuto ben motivato, se guardiano i risultati di lunedì. Risultati che mettono in croce un partito che ha perso in soli cinque anni un tesoro di voti, non è più al governo alla Regione e oggi si vede tallonare, dentro il recinto del centrodestra palermitano, dall’Udc del messinese D’Alia, da Grande Sud di un Gianfranco Micciché nuovamente lanciato verso Palazzo d’Orleans, e anche da quello che una volta era il Pid, capace di ottenere, nella versione combinata “Cantiere popolare+Lista Amo Palermo” oltre il 12% dei voti. Più dello striminzito 8 e qualcosa degli azzurri.

Per capirci, appena cinque anni fa, Forza Italia portava a casa il 18,81% dei voti, ai quali vanno aggiunti il 4,58% dei consensi raccolto dalla lista “Azzurri per Palermo”, senza dimenticare il 6,35% di Alleanza Nazionale in parte confluito nel Pdl. Insomma, un bacino di voti corrispondente a circa il 30%. Un’altra vita, rispetto al’8,3% del Pdl e al 6,5% di Grande Sud (che può però brindare a un’ottima affermazione).

La riedizione “sportiva” dell’idea di una Palermo cool, insomma, non è riuscita. E i sintomi della disfatta erano sotto gli occhi di tutti, già da tempo. “La gente non credeva in Costa, ce ne siamo accorti subito”, affonda Salvino Caputo, che ribadisce: “Quando si è assistito a certe uscite, nelle prime conferenze stampa, forse era il caso che i dirigenti del partito intervenissero”.

Già nelle settimane precedenti le elezioni, in realtà, il Pdl ha mostrato una difficoltà enorme a reperire un candidato credibile. O meglio, molti ras del partito lo avevano individuato in Francesco Cascio, che s’è tirato fuori appena in tempo. “Si doveva andare oltre Cascio – continua Caputo – e seguire l’idea originaria, quelle delle primarie di coalizione”. Ma il gran rifiuto del presidente dell’Ars, non è piaciuto a tanti. E la disfatta di Costa (ma anche sulla vera cifra della disfatta diremo qualcosa), viene letta anche come la sconfitta di Cascio. Il vero “big sponsor” dell’ex presidente del Coni.

“Certo – prosegue Caputo – Costa è stato proposto da Cascio, ma il presidente dell’Ars lo ha fatto in assoluta buona fede. Si è trattato solo di un errore di valutazione e oggi sarebbe assurdo cercare responsabili o colpevoli”. Al di là dell’origine della candidatura, però, resta un fatto inoppugnabile: il Pdl non ha fatto votare Costa. Non l’ha sostenuto come avrebbe dovuto. Ne ha di fatto sancito la sconfitta, per motivazioni che forse travalicano i soli confini regionali. E i numeri, anche in questo caso, parlano chiaro. Se la coalizione a sostegno di Costa ha ottenuto il 25,5 per cento, il candidato ha raccolto meno della metà: 12,6%. In termini di voti, i 28 mila di Costa sono di gran lunga inferiori agli oltre settantamila voti ottenuti dalla coalizione. Insomma, su tre elettori dell’alleanza a sostegno di Costa, in due non hanno votato per il candidato sindaco.

“I nostri voti sono andati tutti a Costa”, ha puntualizzato però Gianfranco Miccichè, mentre l’Udc è stato l’unico partito a sostenere la candidatura dell’ex presidente del Coni fin dall’inizio, fin dalla prima coalizione, quella con Mpa e Fli. Così, il sospetto che il Pdl non abbia sposato in maniera convinta e compatto l’idea-Costa ha molti motivi per restare in piedi.

Ancor più dopo le reazioni a caldo di alcuni esponenti del Pdl persino a scrutinio in corso. È il caso di Ignazio La Russa: “Abbiamo sbagliato i candidati – ha detto durante lo spoglio – non ho difficoltà ad ammetterlo. C’é la mania di cercarli con la faccia carina senza sapere da quale esperienza amministrativa vengano mentre la gente vuol persone affidabili e per i palermitani è più affidabile Orlando”. Un missile. Lanciato non tanto verso Palermo, quanto verso la capitale, dove l’obiettivo potrebbe essere Angelino Alfano, uscito certamente indebolito dalle amministrative palermitane.

“Sono stati altri –  ha spiegato il coordinatore cittadino del partito, Giampiero Cannella – e non certamente noi ad attribuire un valore politico alle amministrative palermitane”. A dire il vero, tra gli “altri” c’è anche qualche esponente del Pdl: “Certo, penso di sì – ammette Cannella – tutti, anche all’interno di un partito, hanno ‘simpatizzanti’ e ‘antipatizzanti’. Qualcuno, anche all’interno del Pdl, immagino abbia gufato”.

Fatto sta che al segretario nazionale, il partito, in Sicilia, sembra essere sfuggito di mano. Perché, ad esempio, anche il coordinatore provinciale Francesco Scoma ha parlato di “errore nello scegliere il candidato”, un errore dovuto anche “al no di Francesco Cascio, che ci ha fatto perdere tempo”. Mentre Salvino Caputo parla di “una classe dirigente mortificata dalle scelte piovute dall’alto”.

Il punto è proprio lì. La “classe dirigente” del Pdl non ha voluto ingoiare alcune scelte e alcuni “modi” della campagna elettorale del candidato Costa. A cominciare da quella scelta “di non prevedere in giunta nessuno degli amministratori degli ultimi vent’anni”. Già, peccato che tra i corridoi delle conferenze stampa, e nei sussurri delle platee, quegli stessi dirigenti lamentassero che, mentre il candidato parlava di “peccatori e redenzione”, mentre si   prodigava in conferenze-stampa “a puntate”, erano loro ad andare in giro tra la gente a cercare voti.

Voti che a Costa, però, indubbiamente non sono giunti. E contro questi dirigenti regionali “mortificati” dalla candidatura di Costa e dal suo embargo agli amministratori del passato, si è scagliata un’altra fetta del partito, quella, appunto, più vicina a Francesco Cascio: “All’indomani di una cosi’ grave e deludente prova elettorale del Pdl palermitano – hanno detto Stefano Santoro e Bartolo Sammartino – ci saremmo aspettati un’iniziativa politica da parte dei vertici cittadino e provinciale del partito, Cannella e Scoma, che incomprensibilmente tarda ancora ad arrivare. Qualsivoglia replica circa il successo di un unico candidato vicino al coordinatore provinciale oltre a dimostrarsi stucchevole, non può costituire schermo politico o scriminante circa le responsabilità politiche dei predetti vertici per l’insuccesso elettorale del partito a Palermo”. In mezzo, c’è anche chi, come Giuseppe Milazzo, rivendica la sua vicinanza negli anni con Diego Cammarata. Anzi, qualcuno sottovoce oggi lancia persino la provocazione: se si fosse candidato Cammarata, il Pdl sarebbe almeno al ballottaggio. È in questi sussurri, più che nelle urla di accusa, che si legge la fine del partito che regnò a Palermo e in Sicilia.


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