Ragazzi dello Sri Lanka pestati| Il figlio del boss confessa - Live Sicilia

Ragazzi dello Sri Lanka pestati| Il figlio del boss confessa

Salvatore Di Giovanni depone in Tribunale. Si accusa del tentato omicidio e cerca di scagionare gli altri quattro imputati. La sua versione, però, scricchiola (nella foto la video-intercettazione in cui Di Giovanni mima il pestaggio).

Processo a Palermo
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Confessa, ma cerca soprattutto di scagionare i suoi coimputati. Lo fa in maniera plateale e cadendo in alcune contraddizioni. Salvatore Di Giovanni racconta la sua verità nell’aula del palazzo di giustizia di Palermo, davanti al Tribunale che lo sta processando per avere massacrato di botte, nella notte tra il 18 e il 19 ottobre scorso, due ragazzi dello Sri Lanka. Mohanraj Yoganathan e Naguleashworan Subramaniam stavano rientrando a casa, nel quartiere Zisa, quando furono aggrediti a colpi di caschi.

Salvatore è figlio di Tommaso Di Giovanni arrestato con l’accusa di essere il capomafia di Porta Nuova. Per lo stesso reato, tentato omicidio, sono giudicati in un altro processo Mirko Rasa, Massimiliano D’Alba, Salvatore Savignano e Vincenzo Cilona. Sono gli amici che Di Giovanni ha cercato di togliere dai guai: “Quella sera ero con il mio scooter, un Sh 300, sono andato alla panineria di via Imperatrice Costanza perché mi aveva chiamato la mia fidanzata – ha spiegato -. Ho visto quei due che pensavo fossero turchi e li ho aggrediti perché avevano disturbato la mia ragazza, erano entrambi ubriachi. Andavano verso di lei, volevano toccarle il sedere. A quel punto ho perso il controllo e ho iniziato a colpirli con il mio casco blu in tutte le parti del corpo”.

Un solo casco blu? Sul luogo dell’aggressione gli investigatori ne hanno trovato un secondo di colore bianco: “Anche quello bianco era mio – ha risposto al presidente del collegio che lo incalzava -. Li ho colpiti con due caschi. Forse non ricordo bene perché ero ubriaco”. Di sicuro l’imputato ricorda bene di avere agito da solo: “Gli altri non c’entrano niente, non c’erano quella sera. Quando ho colpito i due, un ragazzo è svenuto, l’altro è fuggito e io l’ho inseguito ma l’ho perso di vista. Così ho continuato a infierire su quello che era a terra fino a quando non dava più segni di vita. Poi mi sono spaventato e ho smesso”.

Il racconto di Di Giovanni contrasta, però, con le numerose telefonate alle forze dell’ordine che parlano degli aggressori sempre al plurale e soprattutto con il racconto di Yoganathan. Secondo il ragazzo dello Sri Lanka a colpirli furono almeno in otto.


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