LA CITTA' DELLA PAURA - Live Sicilia

LA CITTA’ DELLA PAURA

Un imprenditore-giornalista racconta la città della paura. Violenza, rapine e ancora violenza. Ecco perché ti chiedi se ne valga davvero la pena.

Beh, ammetto che il gabbiotto che ho fatto ergere a protezione dei registratori di cassa non è il massimo dell’estetica, ma ditemi voi cos’altro avrei dovuto fare per difendere i miei ragazzi e i miei incassi. Due rapine in un mese non sono uno scherzo, soprattutto quando sai di essere nudo, di non avere cioè rete di protezione. Questi arrivano veloci e violenti, prendono ciò che c’é da prendere e vanno via. Con le loro belle facce da delinquenti protette da calzamaglie così da rendere perfettamente inutile il lavoro delle telecamere e quello, eventuale, degli investigatori.

Chissà quante volte, da cronista di nera, ho scritto di rapine sul giornale. Così tante da acquisire quel cinismo tipicamente giornalistico – o forse sarebbe meglio chiamarlo automatismo – che ti fa dimenticare l’essenza della rapina stessa. A cominciare dalla paura di chi la subisce, o la attende. Ora lo so. Eccola qui la paura, che è soprattutto un misto di consapevolezza e di rassegnazione. E che ti impedisce di fare al meglio il tuo lavoro. Perché per quanti sforzi tu possa fare per mandare avanti la tua azienda, e di tenere in piedi sessanta famiglie, sai che da qualche parte c’é qualcuno che sta lavorando per rendere inutile il tuo impegno, e la passione, e la grinta con cui affronti ogni giorno come fosse una guerra, perché questo è – qualsiasi cosa vi vengano a raccontare – il mestiere dell’imprenditore.

E allora cerchi di proteggerti, e pazienza se questa è una cosa che dovrebbero fare altri. Paghi una guardia giurata, la tieni lì, cerchi di rendere la tensione appena più tollerabile. Trascorri una notte intera a guardare il fabbro mentre monta il gabbiotto coi vetri antiproiettile e a un certo punto, stremato dalla stanchezza, ti chiedi se ne valga davvero la pena, se continuare a queste condizioni ha un senso. Perché a un certo punto non sai più qual è il tuo lavoro. Trovare i soldi per pagare gli stipendi e le tasse o trasformarti in una sorta di poliziotto senza macchia e senza paura che nottetempo sogna grate e sistemi di allarme, metronotte e vetri antisfondamento. Col sospetto – particolare tutt’altro che trascurabile – che quelle rapine altro non siano che il segnale con cui i mafiosi ti invitano a metterti a posto garantendo le famiglie dei carcerati. Perché in questa città, lo raccontavo qualche giorno fa a un incredulo amico milanese, può capitare che un imprenditore debba augurarsi che i rapinatori che ti hanno preso di mira siano rapinatori e basta, e non emissari di boss e picciotti. A questo siamo.


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